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Obama, la storia del mito americano

Di Agatino Cariola |

Che alla fine del suo mandato un presidente degli Stati Uniti scriva un libro di memorie per raccontare le esperienze fatte è assolutamente normale. Nei paesi anglosassoni le biografie politiche sono un vero e proprio genere letterario e così le autobiografie. Da noi il genere sta apparendo ora, ma all’interno della competizione politica. Le autobiografie dei presidenti degli Stati Uniti, gli uomini più potenti del paese più potente del mondo per quattro o per otto anni, rispondono probabilmente anche ad un’altra motivazione. Certo vi è quella di consegnarsi alla storia, anzi alla Storia con la maiuscola e dare la prima versione dei fatti. Ma vi è anche una ragione di carattere istituzionale: secondo la costituzione americana i presidenti non possono svolgere più di due mandati; alla fine essi escono fuori dal circuito della decisione politica e diventano in qualche maniera “padri della patria”, risorse personali alle quali tutti possono attingere appunto perché espressioni dell’interesse nazionale in quanto tale. Il fatto è che la figura del presidente Usa rappresenta tuttora un enigma istituzionale. Eletto per quattro anni a mezzo di una elezione sostanzialmente diretta per quanto mediata dai cosiddetti grandi elettori, il presidente Usa non è quasi mai il capo di un partito, quello democratico o quello repubblicano, ma solo un esponente politico che spesso viene dalle esperienze locali di governatore dello Stato oppure di rappresentante del medesimo al Senato Usa. Il presidente non è legato al congresso dal rapporto di fiducia. Presidente e congresso godono entrambi della medesima legittimazione popolare/elettorale. Ma il presidente appare essere il capo della Nazione, titolare di un potere di guida che conduce ad una sorta di identificazione tra lo stesso presidente e l’intero Paese. L’opera del presidente è giudicata dal corpo elettorale alla fine del primo mandato; alla scadenza del secondo mandato il presidente esce fuori dall’agone politico, ma forse proprio per questo sente il bisogno di sottoporsi al giudizio del pubblico e di riassumere esperienze, lotte, tensioni, ma anche stati d’animo ed emozioni davanti ai cittadini, dare conto del proprio operato e quasi chiedere avallo a posteriori. È un modo per continuare la personificazione della politica.

La biografia di Barack Obama esce pressoché in tutto il mondo all’indomani della vittoria elettorale di colui che era stato suo vicepresidente, Joe Biden. Obama racconta la sua storia, da giovane alle Hawaii ed in Indonesia, da studente alla Columbia University e da coordinatore di comunità a Chicago, poi ancora da studente ad Harvard, di nuovo a Chicago in uno studio legale e al Senato dell’Illinois. Da lì al Senato degli Stati Uniti. E poi alla Casa Bianca in un crescendo di rapporti, di impegni e di responsabilità.

Per uno che afferma di non credere al destino, è appunto la storia del mito americano, un tema che non a caso è spesso ripetuto nel libro, in gran parte costruito sull’identificazione tra lo stesso Obama e la cultura americana – o la parte ritenuta migliore di tale cultura.

Un libro da leggere, anche se al lettore europeo sfuggono alcune dinamiche ed il ruolo dei tanti soggetti che vi hanno preso parte con un ruolo di coprotagonisti attorno ad Obama. A distanza di pochi anni molte vicende (i rapporti con Putin, con l’Europa e con Israele; l’invasione dell’Afghanistan e dell’Iraq; le primavere arabe; la situazione in Siria; la lotta al terrorismo; ecc.) sono trattate come fatti storici e ci si accorge che tali fatti hanno riguardato da vicino le nostre esistenze. Oggi sono storia.

Obama vede ancora la politica americana – dai suoi inizi come coordinatore di comunità nella Chicago nel 1983 sino all’elezione a presidente nel 2008 – come espressione di movimenti comunitari: gente che si sposta per incontrarsi, domanda e racconta esperienze, esige il rispetto di impegni. Sembra di assistere a fasi ormai passate dell’attività politica, che in tutti i Paesi si sviluppa oggi in un circuito autoreferenziale svolto sui media e sui social, in una dimensione quindi prettamente individualistica. Se si vuole un motto, potrebbe dirsi che la politica di Obama non vedeva ancora twitter o instagram, ma incontri con persone concrete e con i rispettivi problemi: «dovevo stare a sentire ciò che la gente aveva a cuore, invece che teorizzarci sopra».

Obama iscrive le vicende politiche all’interno delle dinamiche di ordine culturale. Non può non trattare il tema del rapporto tra le diverse razze, la lotta all’inquinamento globale, la questione dell’assistenza sanitaria in America. Anzi, sotto questo profilo Obama continua la sua attività politica: promuove ed assolve come condanna e critica; dà pagelle e rivolge critiche; si inserisce nella tradizione politica americana che ritiene più nobile e cita accuratamente Lincoln e F.D. Roosevelt, quasi a delineare una linea di continuità ed a proporsi come l’erede di quella narrazione politica. Sotto questo profilo Obama “sceglie”: nel senso che dei tanti fatti e delle tradizioni culturali americane egli adotta gli orientamenti consoni alla sua visione politica, che dà per comune al lettore. Così come mostra la capacità di apprendere e modificarsi. Potrebbe e dovrebbe dirsi: un presidente che continua ad imparare dai propri errori e dagli altri.

Il libro dedica giusto spazio alla legge sui diritti dei LGBTQ ed alla questione dell’immigrazione. Riguardo il primo tema ricorda la necessità della legge per assicurare i diritti delle persone LGBTQ all’interno delle forze armate: un argomento che evoca ancora una volta l’identificazione tra identità americana e difesa del ruolo degli Usa nel mondo, e su cui lo stesso Obama non esita a ammettere l’obiettivo di mantenere per il suo Paese una posizione dominante sul palcoscenico mondiale. Non a caso Obama coinvolse i vertici militari nella riforma legislativa. I fenomeni migratori sono il grande tema della politica a livello mondiale.

Il Senato votò lo stesso giorno la legge sulle persone LGBTQ ed il Dream Act sull’immigrazione; approvò la prima ma non la seconda, quasi a manifestare al tempo stesso la voglia e la paura di includere. Appunto: i problemi della politica, ieri come ancora oggi.

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