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Catania, l’Emporio solidale non trova solidarietà

Di Maria Ausilia Boemi |

CATANIA – Un grido di aiuto che si moltiplica per 4.000, quante sono le famiglie – catanesi ed extracomunitarie – che l’associazione “Accoglienza e solidarietà” sostiene e accompagna nei momenti di maggiore buio: la perdita del lavoro e, con esso, della fonte di sostentamento e, spesso, della dignità. Una enormità di disagio sociale in una Catania purtroppo indifferente. Indifferente perché, nonostante le promesse a parole più volte reiterate negli anni, nessuno finora (né istituzioni, in primo luogo il Comune, né privati di buona volontà) ha voluto concedere all’associazione un immobile in cui svolgere le sue attività che disinnescano una vera e propria bomba sociale pronta a deflagrare in maniera potente. Travolgendo tutti, in primis i politici impegnati in brillanti passerelle elettorali ricche di promesse fatue.

L’associazione finora ha preso in affitto i vari locali in cui opera: quelli dove è allocato l’Emporio solidale (per il quale paga 1.000 euro di affitto al mese) e quelli in cui si svolgono le altre attività. In totale paga 2.700 euro di affitto al mese, ai quali si aggiungono i costi delle utenze. Denaro finora racimolato tra soci, volontari e benefattori, ma che ora – con la drammatica diminuzione delle donazioni – hanno messo in ginocchio l’associazione che, a fine mese, dovrà lasciare i locali di via Finocchiaro Aprile dove è allocato l’Emporio solidale.

«Dopo due anni e mezzo – spiega l’ingegnere Filippo Immè, che guida i circa 90 volontari dell’associazione – i nodi vengono al pettine. Siamo operativi da 8 anni e l’Emporio solidale è aperto dal 2 gennaio 2016. Ma adesso i locatori, che pure ci hanno donato una paziente comprensione, giustamente reclamano quello che è loro dovuto. Così l’Emporio chiude, a meno che non si trovino soluzioni di tipo immobiliare diverse. Per questo credo che sia decisivo il ruolo dell’amministrazione pubblica».

Amministrazione comunale in primo luogo che, per bocca dei «vari assessori comunali al Welfare e all’armonia sociale che si sono susseguiti nel tempo, ci hanno dato assicurazioni sulla disponibilità di beni immobili. In realtà, questa attenzione che ci era stata assicurata non si è tradotta in fatti concreti». Eppure, rivendica l’ing. Immè, «il mondo del volontariato – risorsa incredibile delle istituzioni – svolge un ruolo essenziale di supplenza del pubblico non soltanto per quello che offre al cittadino, ma soprattutto per le modalità, lo spirito e la prontezza con cui lo fa. Il cittadino che attraversa un momento di grande difficoltà non ha infatti bisogno che gli vengano soltanto erogati servizi, ma soprattutto di sentirsi accolto, di essere ascoltato, orientato e accompagnato. Il volontariato lo fa e per questo deve essere valorizzato e non penalizzato come purtroppo temo che sia successo in questi anni».

Non solo: l’eventuale disponibilità di beni immobili, oltre ad essere a costo zero per l’amministrazione, «consentirebbe di valorizzare strutture abbandonate, comunque non utilizzate, sicuramente vandalizzate». Anche perché l’associazione si è resa disponibile a ristrutturare l’immobile che le venisse concesso, con un evidente conseguente guadagno per l’amministrazione.

A costo zero per l’amministrazione si disinnescherebbe anche una bomba sociale che, nel caso in cui l’associazione non potesse più operare, deflagrerebbe sulla città: «È assolutamente impensabile che il dramma delle famiglie possa essere superato con il sostegno delle provvidenze, che pure ci sono, da parte delle istituzioni. Qui parliamo soprattutto di famiglie – moltissime italiane – costituite da 10-12 persone cadauna che hanno bisogno di un sostegno fortissimo, che non è soltanto di tipo economico o alimentare, ma è anche di ascolto, conforto, orientamento, accompagnamento. E in questo il ruolo delle associazioni di volontariato è assolutamente fondamentale. Senza nulla togliere alle capacità, alle attenzioni e alle sensibilità dei funzionari e degli impiegati delle istituzioni pubbliche».

L’immobile ideale, che consentirebbe all’associazione di accorpare tutti i servizi attualmente distribuiti in più immobili – eliminando il conseguente aggravio di spesa di moltiplicazioni di utenze – dovrebbe essere sui 500 metri quadri. «Però possiamo accontentarci anche di molto meno. All’amministrazione chiediamo di capire quale è il ruolo e il sostegno che il mondo del volontariato dà a queste persone travolte dal dramma della povertà assoluta: gente che dorme per strada o arrampicata sui ponteggi, famiglie con bambini che dormono in macchina e che la mattina si ritirano come stracci a prendere la colazione da noi».

I numeri tracciano un quadro impietoso e potenzialmente dirompente di una città indifferente di fronte a chi si ritrova all’improvviso sul lastrico: «In questo momento noi seguiamo circa 4.000 famiglie in totale tra Emporio solidale, assistenza legale, sanitaria, centro lavoro, ufficio casa, assistenza a 300 mamme di bimbi da 0 a 3 anni, doposcuola, scuola di italiano, 20 posti letto. Con il sistema dei punti dell’Emporio solidale (che non fornisce solo alimenti, ma anche prodotti di igiene personale, della casa, vestiario, mobili) sosteniamo 650 famiglie – moltissime italiane – pari a circa 4.000 persone alle quali distribuiamo ogni settimana 20 tonnellate di alimenti (e famiglie seguite e quantità di cibo distribuito sono in continua crescita). A queste si aggiungono 500 persone che giornalmente, dalle 7 alle 19, bussano all’Emporio e, senza la formalità dei punti, ricevono cibo fresco donato da una cinquantina di piccoli esercizi, al quale si aggiunge il grosso donato dal Banco Alimentare e dalla grande distribuzione (Ipercoop, A&O-Iperfamila)». L’ultima àncora di salvezza – la più grande, peraltro, esistente da Roma in giù – per «gli ultimi che peseranno sempre più sulla coesione sociale, perché inevitabilmente la presenza di un senzatetto che, non sapendo dove andare, fa i propri bisogni accanto al supermercato sotto casa, innesca reazioni che possono diventare anche violente, xenofobe, razziste».Per risolvere il problema basta pochissimo: un immobile. A costo zero e con vantaggi evidenti per l’amministrazione. Ai quali se ne aggiunge un ultimo: «Le istituzioni dovrebbero forse riflettere – chiosa l’ing. Immè – sul fatto che, a fronte di un costo zero per l’amministrazione, noi offriamo beni per circa 4 milioni-4milioni e mezzo all’anno. Parliamo di una capacità moltiplicativa che è dovuta certo a delle capacità: dateci quindi la possibilità di fare».

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