l'evento
Sui tacchi dell’Antimafia «per i diritti di tutti»
All'evento la testimonianza di Daniela Lourders Falanga. Nata maschio, si è ribellata al padre camorrista
E’ stato l’ultimo incontro del Pride di quest’anno e allo stesso tempo una delle tappe della carovana antimafia e del progetto “Le scarpe dell’antimafia”. I Siciliani giovani, l’Arci e l’Arcigay hanno unito le forze per affrontare un argomento intersezionale quale quello del contrasto alle mafie e della questione Lgbtqia+, sigla con cui si fa riferimento ai movimenti e alle comunità delle minoranze sessuali. Di qui la variante del nome dato all’appuntamento – “I tacchi dell’antimafia” – che si è tenuto in uno spazio da loro recuperato alla fruizione collettiva: lo slargo antistante la Torre del Vescovo, in via Antico Corso 3. Slargo che – definito da Alessando Motta, presidente del circolo Arci Open, come «una piazza che non ce l’ha fatta o un’aiuola che si sovrastima» – è stato ripulito e intitolato a Raffaella Carrà, icona del movimento queer, termine «utilizzato da chi rifiuta le nozioni tradizionali di genere e da chi non vuole essere definito esclusivamente in base all’orientamento sessuale».
Caruso: «Antimafia anche lotta per i diritti Lgbtqia+»
«L’antimafia – ha esordito Giovanni Caruso, presidente dell’associazione “I Siciliani giovani” – è anche lotta per i diritti, inclusi quelli del movimento Lgbtqia+». Per questo persone con storie diverse si sono incontrate, come sottolinea Matteo Iannitti dell’Arci, «per un momento di condivisione e intersezionale. E, del resto, il movimento per i diritti dei gay, già dalla sua origine con i moti di Stonewall in Usa, ha visto insieme queste due componenti, antimafia e lotta per i diritti delle minoranze sessuali». Basti pensare allo slogan dei rivoltosi che gridavano: “via la mafia e gli sbirri dai bar dei gay” dove compivano retate, soprusi, arresti.
Daniela Lourdes Falanga, ribellatasi al padre camorrista
C’è chi questa doppia lotta l’ha iscritta nella propria carne. Daniela Lourdes Falanga, nata maschio, figlia di un boss della camorra stragista. Già nei primi anni di vita, lei che si sentiva una bambina, ha vissuto sulla sua pelle la violenza di una cultura mafiosa fondata sul patriarcato «che diventa potere sull’altro, prevaricante e continuo». Un potere contro cui si è ribellata denunciando il padre e la sua famiglia mafiosa e scegliendo di seguire il suo modo di essere. Oggi, che è responsabile nazionale dell’Arcigay legalità, carceri e antimafia, dice che la violenza mafiosa permane nella cultura maschilista e patriarcale che segna ancora le nostre comunità.
«Quando fanno festa gli spacciatori devono cambiare zona»
Daniela Tomasino, vicepresidente nazionale Arcigay, ricorda che il suo impegno di attivista per i diritti Lgbtquia+ nasce, come quello di tantissimi siciliani, nel 1992, l’anno delle stragi di Falcone e Borsellino quando le persone si ritrovarono in strada, sgomente, a domandarsi che cosa fare per fermare la violenza mafiosa e diedero vita a tante iniziative e manifestazioni, incluso il movimento delle lenzuola antimafia. «Fino ad allora – racconta – di fronte alle centinaia di delitti di mafia, pensavamo che non ci riguardavano, che si ammazzavano tra loro. E provavamo insofferenza anche per i magistrati e i poliziotti che reputavamo fonte di pericolo: le auto di scorta sfrecciavano mettendo a rischio la vita di tanti e gli agenti scortavano i figli dei magistrati fin dentro scuola con i mitra spianati. Poi lo shock delle stragi da cui è nato un clima da rivoluzione che ha cambiato Palermo e la Sicilia. Oggi sembra che la tensione di quegli anni sia svanita, ma in realtà le cose non stanno così. Molti di noi si sono stancati delle manifestazioni istituzionali cui partecipano anche persone che hanno avuto a che fare con la mafia. Noi preferiamo l’antimafia sociale che, invece, cresce. Come allo Zen dove un gruppo di donne di quel quartiere ad alto tasso mafioso, si incontra per discutere, svagarsi, seguire i corsi per ottenere la licenza media o la patente. Per loro è uno spazio di libertà dove fanno spettacoli, organizzano flash mob e partecipano al Pride. E quando fanno festa in strada gli spacciatori devono cambiare zona. Questa è antimafia, come lo sono gli sportelli Arci che aiutano i migranti ad ottenere i documenti senza i quali non potrebbero sottrarsi al capolarato e allo sfruttamento. Ed è antimafia il Pride dove gridiamo che ognuno ha diritto ad essere quello che è, di essere libero. La mafia ci vuole soli, isolati, depressi, senza speranza. Noi ci diciamo: non hai niente? Fregatene! Hai la tua comunità. Ed è questa la nostra forza».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA