A casa del boss del clan Cappello: «Dopo 27 anni di carcere rompo col passato. Non mi pento ma voglio togliere “carusi” alla mafia»
A colloquio con Giampiero Salvo, ergastolano ai domiciliari per motivi di salute, che in una lettera inviata al presidente del Tribunale dei Minorenni di Catania ha chiesto di poter "convertire" i giovani detenuti
Di Laura Distefano |
Un divano e un tavolo con alcune sedie. Poi la stanza ha pochissimi mobili, per permettere a Giampiero Salvo, ergastolano ai domiciliari per motivi di salute, di potersi muovere con la sedia a rotelle. A 14 anni aveva già preso il posto del padre, Giuseppe Salvo “u carruzzeri”, nella gerarchia criminale del clan Cappello. Un boss di mafia, con una condanna per omicidio. Per la strage di Catenanuova. Alle spalle 27 anni di carcerazione per 47 anni di vita. Qualche settimana fa ha deciso di rendere pubblica la sua rottura con quella che chiama l’altra vita. Quella sbagliata. E lo ha fatto attraverso una lettera inviata al presidente del Tribunale dei Minorenni di Catania Roberto Di Bella, in cui chiede di poter parlare ai giovani detenuti per poterli convincere attraverso la sua testimonianza di dare valore alla loro vita e di scegliere lo studio e la cultura. Un pentimento morale per i reati che ha commesso e il male che ha provocato, ma nessuna ipotesi di collaborazione con la giustizia.