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il ritratto

Chi è la nuova assessora Daniela Faraoni, la “lady di ferro” che si è presa la sanità siciliana

Nominata al posto della dimissionaria Grazia Volo: una lunga storia dentro il palazzo

Di Mario Barresi |

Per capire quanto Daniela Faraoni sia una “lady di ferro” basta sbloccare un ricordo. Vecchio, ma non troppo. Risalente a quando la nuova assessora regionale alla Salute – classe 1959, originaria di Serradifalco, poi adottata da Catania e infine radicata a Palermo, laurea in Legge a Urbino e una carriera di 35 anni nella sanità siciliana – era direttrice amministrativa a Villa Sofia-Cervello. Nel pieno dell’era crocettiana entra in rotta di collisione con i due dioscuri presidenziali, Giacomo Sampieri e Matteo Tutino. È il 2013. Faraoni ha appena chiesto al commissario dell’azienda di sospendere in autotutela la nomina del primario di Chirurgia plastica sollevando dubbi sul suo curriculum. Il 17 dicembre di quell’anno, annotano i carabinieri del Nas, Tutino parla con Rosario Crocetta «in merito al licenziamento della dottoressa Faraoni». Il medico-confessore si sfoga: «Senti minchia questa donna è famosissima in tutta la regione, spero che non ti abbia creato crisi di governo». Ma il governatore lo rassicura: « Nooo… guarda le cose vanno senti… servite con piatti freddi Matteo… […] Tu devi fare una cosa molto semplice, fare congelare il provvedimento, aspettare la nomina di cosa, e a questa la sbagniamo in un altro posto va bene? Ok?… […] l’abbiamo sopportata un bel po’, sopportiamo altri 15 giorni, va bene?». Faraoni lascia l’incarico poco dopo. «Sono stata costretta a dimettermi», racconterà in aula davanti alla terza sezione penale del tribunale di Palermo nel processo concluso con la condanna di Tutino a sette anni e di Sampieri a quattro anni. Citando un «mandato» preciso di Crocetta sulle sue dimissioni, «con le quali avrei in futuro potuto salvare la possibilità di ricoprire quell’incarico in quell’area».

Il tempo è galantuomo

Il tempo, oltre a essere galantuomo, è maestro. E Faraoni l’ha imparata subito e bene, la lezione. Da quel momento parte la sua scalata al vertice della sanità siciliana. Direttrice amministrativa delle Asp di Caltanissetta e di Catania, fino al grande salto al vertice dell’Asp di Palermo. Con uno sponsor politico allora pesantissimo: Gianfranco Miccichè. «In un’azienda sanitaria che ha un bilancio di un miliardo e 700 milioni, la più grande d’Italia, non metterei mai uno che mi porta 300 voti, ma cercherei Marchionne», la linea dell’allora viceré berlusconiano di Sicilia. E, visto che il compianto top manager di Fiat non è su piazza, Miccichè sceglie lei. Uscita, a pieni voti, dalla nuova selezione dei direttori generali del centrodestra, all’alba del governo di Nello Musumeci, nella quale l’aspirante manager Giovanna Volo viene bocciata. «La candidata – si legge nel verbale d’esame – non ha dimostrato un sufficiente grado di padronanza delle tematiche affrontate nell’ambito di tutte e tre le classi di competenza oggetto del colloquio».

L’autonomia che cozzava con Ruggero Razza

Faraoni s’insedia a Palermo. Dove si fa notare subito per la competenza e, soprattutto, per l’autonomia delle sue scelte. Eccessiva per i parametri dell’assessore Ruggero Razza, con cui la manager non si prende, maldigerita anche dal dirigente plenipotenziario Mario La Rocca. Ma la sua etichetta di “miccicheiana”, negli anni dello scontro fra il presidente dell’Ars e il governatore Musumeci, la indebolisce. E a Piazza Ziino si spostano carte per la sua rimozione: non tanto per il fallimento degli obiettivi contrattuali quanto per presunte «carenze nella gestione della pandemia». Anche perché, durante l’emergenza, Faraoni si scontra più volte col “compagno” Renato Costa, super commissario Covid a Palermo.La manager di Serradifalco, alla fine, sopravvive a Musumeci. E, nei mesi convulsi che portano alla scelta di Renato Schifani candidato, il suo nome finisce persino nella rosa dei potenziali candidati del centrodestra. C’è il nome di Faraoni (assieme a quelli di Stefania Prestigiacomo, Patrizia Monterosso, Barbara Cittadini, Toti Amato e Tommaso Calderone) nel foglietto spiegazzato che Miccichè lascia sul tavolo a un infuocato vertice di maggioranza.

Su di lei l’ultimo strappo Schifani – Miccichè

Non sarà candidata, Faraoni. E nemmeno assessora. Nonostante, dopo la vittoria di Schifani, sulla sua nomina si consumi l’ultimo strappo con l’ex leader forzista. Miccichè fa di tutto per mettere la manager dell’Asp di Palermo alla guida della sanità siciliana. Come garanzia è persino disposto a mettere sul tavolo le sue dimissioni dall’Ars e l’opzione per il seggio al Senato. «Renato, facciamo così: io mi tolgo dai cogl… e tu metti la Faraoni. E siamo tutti felici», l’ultimo disperato appello. Ma il neo-governatore ha già scelto un’altra tecnica: Volo. Che finirà quasi subito commissariata: sotto la tutela del potente dirigente Salvatore Iacolino. Cosa cambierà da ieri, con l’arrivo di Faraoni, negli equilibri di potere in assessorato? «La differenza di approccio con Iacolino – commenta un big del centrodestra – è la stessa che c’è fra una barchetta di legno e una portaerei».Hic manebimus optime. Faraoni resta al vertice di Palermo. Ma sono in molti a essere convinti che sta per fare le valigie. Destinazione Catania, dove Luca Sammartino (che la conosce e stima dalla precedente esperienza etnea) la vuole fortissimamente. Durante i mesi del toto-nomine, lei – inserita nella minuta della commissione fra i “top 11” dei «candidati con giudizio pienamente coerente» – viene sempre data sotto l’Etna in quota Lega. Poi succede l’imponderabile. O forse no: anche Schifani (a cui tutto si può dire, tranne che non abbia l’onestà intellettuale di cambiare i suoi giudizi) comincia a conoscerla e a stimarla. E anche Edy Tamajo, ieri piuttosto freddo, all’epoca spinge per lei, che alla fine fa capire di voler restare dov’è, anche per «esigenze familiari». E così, nella lunga giostra delle nomine dello scorso anno, Faraoni passa da” leghista” diretta a Catania a “forzista” confermata a Palermo. Non tutti, fra gli azzurri, approvano.

I rapporti con Sammartino

Ma non per questo rinnega i suoi rapporti con l’ex vicepresidente della Regione. Un rapporto istituzionale, che diventa politico-familiare quando il figlio di Faraoni, Leonardo Burgio (assolto assieme al deputato regionale di Forza Italia Riccardo Gennuso e al padre Giuseppe nel processo per estorsione ai danni dei lavoratori del bingo che prima lo stesso Burgio e poi i Gennuso gestirono a Palermo; prescritta l’ipotesi di truffa), giovane sindaco di Serradifalco, diventa commissario provinciale della Lega a Caltanissetta. Nulla di fatto, come l’indagine sulla madre manager per il caso di un parente candidato a un concorso per psicologi all’Asp di Palermo.

Quell’intreccio sanità, politica e famiglia

L’intreccio fra sanità, politica e famiglia emerge dalle carte di un’altra inchiesta giudiziaria. Quella in cui Faraoni, assieme a Sammartino, è indagata (e poi archiviata su richiesta della stessa Procura) per concorso in corruzione: l’accusa su un accordo per assunzioni in cambio di affidamenti a una società si sgonfia subito. Ma resta agli atti la telefonata del 6 settembre 2023, in piena bagarre nomine, in cui Faraoni racconta al figlio leghista Leonardo l’incontro con il leader. «Mi ha ricevuto e mi ha detto perciò, è cambiato qualche cosa tra di noi? Io gli ho detto di che cosa Luca, noi ci siamo dati una parola… […] e io ricordo che nel pacchetto faceva parte anche una certa posizione,, di Leonardo». Il figlio le chiede se gli ha ricordato «quella cosa della Provincia» e lei lo rassicura: «Sì, certo, certo». Ma il passaggio politicamente più interessante è quando la manager parla del tira e molla sulla sua nomina: «Li lascio scannare», la sua strategia. E rivela: «Quando ci siamo salutati (con Sammartino, ndr) poi […] mi ha fatto un sorrisino, gli ho detto non è che mi stai facendo un sorrisino come quello che mi ha fatto Schifani… come per dire tanto decido io, no?». Il pressing del governatore che la vuole lasciare all’Asp di Palermo è forte. E lei ricorda al figlio i tempi in cui il suo nuovo sponsor presidenziale l’avrebbe «buttata fuori a calci per quello che rappresentava». Ma ora le cose sono cambiate: «Abbiamo un problema perché l’Asp di Palermo non è che la può gestire chiunque». Dunque il destino sembra segnato, anche se «che ora questo signore venga a dirmi questa cosa mi dà anche un poco di fastidio, perché io non è che sono a suo servizio, io sono a servizio della Regione, è una cosa un poco diversa, non è perché lui non trova nessun altro da poterci mettere, allora che significa che se dopodomani mattina trovasse qualcun altro mi lascia a piedi?».Ieri «questo signore», al secolo Renato Schifani, ha nominato Daniela Faraoni nuova assessora regionale alla Salute.

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