L'OPERAZIONE
Così la mafia catanese comandava anche dal carcere: il blitz “Leonidi bis” ricostruisce le dinamiche della cosca Santapaola-Ercolano
Tra i boss protagonisti dell’inchiesta c'è Salvatore Battaglia, storico responsabile del gruppo del Villaggio Sant'Agata, al centro di una intensa stagione di sangue negli anni '90
Diversi capi storici della “famiglia” catanese di Cosa nostra avrebbero dato ordini dal carcere, in cui erano detenuti, in varie parti d’Italia, continuando «ininterrottamente a esercitare la loro attività di indirizzo e controllo delle dinamiche criminali comunicando con i sodali liberi attraverso dispositivi telefonici che si erano procurati illecitamente e che detenevano negli istituti penitenziari».
E’ quanto emerge dall’inchiesta “Leonidi bis” della Dda di Catania contro una frangia della cosca Santapaola-Ercolano rilevando che questo «dimostrerebbe l’assoluta permeabilità degli istituti penitenziari alla ricezione e all’ingresso di dispositivi di comunicazione che consentirebbero agli affiliati detenuti di mantenere contatti quotidiani con i sodali liberi, in modo da impartire le loro direttive».
L’operazione ‘Leonidi bis’ ha interessato 13 indagati. Sono state arrestate cinque persone mentre l’ordinanza è stata notificata in carcere ad altre sei già detenute e due sono state poste ai domiciliari. La misura cautelare è stata notificata in carcere, perché già detenuti, a: Salvatore Battaglia, 58 anni, Giuseppe Caruso, di 36, Carmelo Di Silvestro, di 47, Francesco Pio Giuseppe Di Stefano, di 24, Salvatore Gurrieri, di 51, e Giuseppe Pistone, di 37.
Gli arrestati condotti in carcere sono: Gabriele Gioacchino Cigna, di 20 anni, Santo Di Bella, di 32, Alessandro Simone Ingo, di 28, Santo Roggio, di 48, e Michele Spampinato, di 25.
Agli arresti domiciliari sono stati posti: Giulia Ilenia Catanzaro, di 21 anni, e Marco Natale Tosto, di 20.
Lo storico boss
Tra i boss che entrano nell’inchiesta c’è Salvatore Battaglia (nella foto in alto le foto segnaletiche dei suoi arresti in tre diverse operazioni), storico responsabile del gruppo del Villaggio Sant’Agata, assieme al fratello Santo, e protagonista di una intensa stagione di sangue negli anni ’90, già condannato in via definitiva per mafia e omicidio, che, secondo l’accusa, «sarebbe risultato essere punto di riferimento attuale per il sodalizio criminale, capace di fornire indicazioni ai sodali circa la gestione delle dinamiche associative, a dispetto del suo status di detenuto».
Battaglia avrebbe ricevuto numerose informazioni durante la detenzione dagli affiliati «in modo da essere sempre aggiornato sulle dinamiche in corso e da impartire direttive su incontri da svolgere con affiliati o soggetti di interesse sulla gestione dei proventi delle attività illecite di pertinenza del gruppo del Villaggio Sant’Agata e sui comportamenti, anche violenti, da tenere alcune situazioni».
Le altre figure
Altra «figura di interesse», emersa dalle indagini dei Carabinieri, secondo la Dda di Catania, sarebbe Salvatore Gurrieri, esponente della «vecchia generazione» di affiliati: detenuto in un istituto penitenziario del Nord Italia, assieme ad altri affiliati, compreso uno dei vertici della cosca, avrebbe avuto la «possibilità di ricevere e veicolare direttamente le informazioni tra i sodali liberi e i soggetti con esso detenuti e pretendere erogazioni di denaro».
L’inchiesta ha fatto emergere l’ascesa al potere criminale di Giuseppe Pistone, 37 anni, che, da autista del boss, sarebbe arrivato ad avere un ruolo apicale all’interno del clan Nizza, affiancando gli “anziani” nella gestione degli affari illeciti, e in particolare del traffico di stupefacenti .
Secondo la ricostruzione dell’accusa, Pistone avrebbe «mosso i primi passi sulla scena criminale come autista di Andrea Nizza, boss dell’omonimo clan, per poi arrivare, da ultimo, a ricoprire ruolo di responsabile del gruppo nel rione Librino».
Dopo l’arresto del suo “capo”, si sarebbe «dedicato in via prioritaria all’attività di spaccio nell’interesse e per conto della cosca, con l’obiettivo di riportare il gruppo agli antichi splendori pur in assenza della forza militare di un tempo». Dalle indagini dei Carabinieri emergerebbe una persona «dotata di capacità e poteri organizzativi» anche come gestore di una «piazza volante». Sarebbe stato lui a gestire la consegna di droga ordinata su Telegram e Whatsapp con un servizio di delivery degli stupefacenti.
La corsa alle armi
Dall’inchiesta sarebbero emerse anche momenti di gravi fibrillazioni caratterizzate anche da una «corsa alle armi». E in quest’ottica si inserisce il fermo eseguito, a Librino, il 19 ottobre del 2022 da carabinieri del nucleo Investigativo di Catania di un 35enne ritenuto collegato al gruppo Nizza della famiglia Santapaola-Ercolano che era in possesso di una pistola con caricatore inserito e 9 colpi calibro 38 special all’interno. Nello stesso contesto in un locale di un palazzo dello stesso rione militari dell’Arma hanno sequestratio cinque fucili da caccia, una pistola mitragliatrice di provenienza cecoslovacca, una pistola Glock modificata, 352 munizioni di vaio calibro, circa 6 chilogrammi di hashish suddiviso in panetti, un giubbotto antiproiettili, un lampeggiante blu per auto, vari kit per la pulizia delle armi e svariato materiale per travisamento, tra cui scaldacollo e guanti. Durante un successivo controllo, il 20 novembre scorso, i carabinieri hanno arrestato, a Canicattì (Agrigento) due persone e sequestrato circa un chilogrammo di cocaina, ricevuta un’ora prima nel capoluogo etneo da alcuni degli indagati.
L’indagine
L’inchiesta è frutto di una indagine avviata nel maggio dello scorso anno, coordinata dalla Procura Distrettuale di Catania e condotta dai Carabinieri del nucleo Investigativo del comando provinciale, sfociata, nel dicembre 2023, al fermo di nove indagati legati anche da vincoli di parentela a esponenti di vertice della famiglia Santapaola-Ercolano. Sul loro conto erano emersi gravi indizi sulla pianificazione, in stadio avanzato, dell’uccisione di Pietro Gagliano, indicato nelle conversazioni degli indagati come appartenente al clan rivale dei Cappello – Bonaccorsi, da parte personaggi di spicco dell’associazione mafiosa «Santapaola-Ercolano». Nei confronti dei destinatari del decreto di fermo, ad avvenuta conferma delle ordinanze a opera del Tribunale del riesame, la Procura ha chiesto di procedere col rito immediato.
L’omicidio era stato progettato come rappresaglia a una sparatoria avvenuta la sera del 21 ottobre 2023 nel quartiere San Cristoforo, quando, al culmine di una discussione tra appartenenti alle due cosche Pietro Gagliano avrebbe esploso 4 colpi di arma da fuoco all’indirizzo di appartenenti alla famiglia di «Cosa Nostra” catanese. Due delle potenziali vittime, rimaste illese, si sarebbero immediatamente determinate a vendicarsi, nonostante avessero ricevuto indicazioni di segno contrario dal gruppo criminale di appartenenza.
Nel complesso, l’attività investigativa, condotta e finalizzata grazie ad attività tecnica e ai serrati riscontri sul territorio, sarebbe riuscita a dimostrare il tentativo degli indagati di riorganizzare gli assetti dei gruppi dell’associazione mafiosa Santapaola-Ercolano, duramente colpita nel tempo dall’incessante azione repressiva della magistratura e delle forze di polizia.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA