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Il codice del disonore: quando i boss fanno uccidere figlie e mogli

Di Redazione |

PALERMO. Anche se si occupa di affari e di finanza la mafia è sempre stata una severa custode del senso dell’onore. Non è unico il caso del boss Pino Scaduto, che aveva ordinato l’uccisione della figlia perché aveva una relazione con un maresciallo dei carabinieri. La cronaca ricorda almeno due precedenti.

Il più eclatante è quello di Lia Pipitone, 25 anni, figlia di Nino capo del mandamento di Resuttana. «Era nata per la libertà ed è morta per la sua libertà», ha raccontato il collaboratore Francesco Di Carlo il quale ha anche ricostruito i retroscena del delitto. Lia Pipitone venne uccisa il 23 settembre 1983. Il padre aveva dato il suo consenso dopo avere appreso che la figlia aveva, secondo Di Carlo, una relazione extraconiugale.

Lia Pipitone fu uccisa con modalità simili a quella di una rapina. Ma a distanza di trent’anni l’inchiesta, sulla base delle dichiarazioni di Di Carlo, ha individuato i due presunti esecutori materiali, Vincenzo Galatolo e Nino Madonia. Il figlio della donna, Alessio Cordaro, si è costituito parte civile e con il giornalista Salvo Palazzolo ha ricostruito in un libro (“Se muoio sopravvivimi”) la storia della madre e il contesto mafioso del delitto.

L’anno prima, ancora per risolvere un caso di «disonore», il boss Giuseppe Lucchese detto Lucchiseddu, uno dei più feroci killer di Cosa nostra, aveva ucciso la cognata Luisa Gritti inscenando una rapina in un bar del centro. Poi aveva eliminato la sorella Giuseppina, che aveva crivellato con il marito sotto gli occhi della figlia della coppia. Le due donne erano state «punite» perché le loro relazioni gettavano «discredito» sull’onore della famiglia.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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