scaffale
“Il sacrificio”, il primo romanzo della poetessa Anna Vasta
Una prosa impeccabile, con picchi lirici che affrescano le “atmosfere” tipiche della Sicilia
«Il cielo turchese di settembre a Sant’Egidio, punteggiato di canditi batuffoli di neve, presagio di altra neve, l’animazione della festa, i palloncini rossi con la sua cravatta che lo zio Rosario faceva volare alto. L’odore di legno ammuffito del suo studio e quell’inconfondibile sentore di cenere delle vecchie librerie. I pomeriggi dorati all’ombra delle verdi ‘cassine’ nei balconcini di euforbie tra pile di libri appetitosi più dell’uva nera appena colta». Un passo, per introdurre la nostra intervista, scelto da “Il sacrificio”, primo appassionante romanzo della poetessa Anna Vasta, pubblicato da “Carthago”.
Siamo in presenza di una narrazione distinta da prosa impeccabile, con picchi lirici che toccano (affrescano) le “atmosfere” tipiche della nostra terra, la Sicilia, incentrata, sul dubbio cartesiano, quindi, sul coraggio della conoscenza mai separata da valori quali responsabilità, fermezza, onestà, da considerarsi dovere morale di tutti gli individui come insegna Marianna, giovane donna irrefrenabile («Sentiva l’ingiustizia di un mondo iniquo, incolpevolmente iniquo»). Una trama che si accende gradualmente scuotendo respiro e coscienza: il male è molto peggio che “banale”, è «coerente, lineare». Nondimeno, e per destino, il bene persiste, è imprevedibile e sfocia come luce improvvisa rinvenendo “terreno” anche quando tutto parrebbe compiuto.
–Quando è nata l’idea di questo suo primo romanzo, c’è un aneddoto, qualcosa di non detto, che possiamo raccontare ai nostri lettori?
«È maturato nel tempo, naturalmente, secondo leggi fisiche che seguono una parabola di nascita e maturità. Forse avevo bisogno di una storia da raccontarmi e da raccontare. Di personaggi con cui confrontarmi. La poesia che è stata la mia cifra espressiva per anni, insieme con la riflessione critica e la prosa aforistica, ha ceduto il campo alla narrazione. I cambiamenti avvengono dall’interno. Quando meno ce l’aspettiamo, arrivano, scompaginando ogni possibile piano. Anche nella vita è così. Le cose non accadono mai come e quando desideriamo che accadano. Con questo non voglio dire che il passaggio dalla poesia alla narrativa sia frutto del caso. Nella letteratura non esiste il caso».
-Dove, metaforicamente, è nato e in che modo è cresciuto il suo ‘testo’?
«Forse in quella terra malferma di confine dove stazionano i sogni persi, i fantasmi della mente a cui non abbiamo dato voce, e che sono rimasti inascoltati per tanto tempo. Il tempo di crescere, e spuntare inattesi come i ciuffi d’acetosella dagl’interstizi del basalto nei borghi etnei, ad annunciare la bella stagione, e spuntare inattesi come i ciuffi d’acetosella dagl’interstizi del basalto nei borghi etnei, ad annunciare la bella stagione».
-Il suo romanzo percorre su varie sfaccettature la dicotomia tra bene e male, uno dei grandi temi della storia dell’umanità, vogliamo parlarne?
«Il male è il tema che nel romanzo assume le forme primordiali del ‘sacrificio’ di una piccola creatura innocente. Un male che si camuffa dietro le rassicuranti fattezze della quotidianità. Il male che cova nel chiuso delle case, si cela tra i tarli dell’esistenza. Vive in promiscuità col bene e lo contamina, senza esserne contaminato. Un male che è difficile cogliere e denunciare, che agisce indisturbato e spesso mai scoperto. Il bene agisce nel profondo, giunge alle radici della coscienza e trasforma l’agire umano».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA