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L’imprenditrice di colore a Messina: «Non credono che sia io la titolare»

Di Nino Arena |

Un piccolo tiro mancino a quanti non vogliono nemmeno immaginare che un altro mondo cresce accanto a loro; a quanti non sanno accettare che gli “altri italiani”, quelli nati altrove, possono giocarsi la carta dell’indipendenza, “picconato” nel 2001 dalla Bossi-Fini, che ha introdotto quel modello di integrazione subalterna che l’Italia non ha più abbandonato e, anzi, di recente ha reso più aspra.

«Per fortuna non sono tutti così» aggiunge Élia Faye e, evocando la legge della compensazione racconta che «ci sono anche gli entusiasti non solo del negozio, ma del fatto che sono straniera e che ho voluto scommettere sulla città aprendo una nuova attività in un posto dal quale molti fuggono». Con l’effetto di ridare slancio alle nostre città e di facilitare la distribuzione della ricchezza in un momento di grave crisi.

La sfida, la signora Élia da Messina e Dakar, l’ha lanciata nell’ormai lontano 2009. Ha preso in affitto un locale di via Garibaldi, tra il palazzo comunale e quello prefettizio, ha affrontato una burocrazia capace di scoraggiare la più paziente delle tartarughe e finalmente è giunto il nullaosta. Nello spazio di alcune settimane creme e prodotti di bellezza, soprattutto per capelli, hanno trovato posto sugli scaffali di Easy Beauté, un nome anglo-francese per fare l’occhiolino alle immigrate anglofone e francofone puntando sul desiderio di piacere, che non conosce limiti geografici. «Questo mese festeggio dieci anni di apertura, ma nel tempo – confessa la signora Faye – il progetto iniziale si è modificato da sé. Tra i miei clienti ormai ci sono più italiani che stranieri. Ho dovuto cambiare, un po’ perché mi sono resa conto che il numero di donne straniere presenti a Messina non mi avrebbe consentito di continuare, un po’ perché nel frattempo la curiosità ha portato qui molte italiane e oggi ho un sacco di clienti che mi vogliono un sacco di bene». Facile, del resto, darle fiducia: i modi delicati, il volto sorridente, la voce vellutata le hanno aperto un nuovo spazio, che non è solo di venditai, ma di relazione: le parrucche destinate alle donne alle prese con gli effetti della chemioterapia: «Bisogna rapportarsi sempre in punta di piedi, sono davanti a una grande prova».

È qui che ogni barriera cade e ci si riconosce al di là di ogni stereotipo, ma di questi si continua a vivere. E Catania, quanto a pregiudizi, non è diversa dalla città dello Stretto. In più sotto l’Etna, attorno a un negozio gestito da una donna, per di più straniera, si accendono talvolta una piccanti curiosità dal sapore brancatiano. «Qualcuno – racconta sottovoce Nathaly Gonzalez – mi ha chiesto di metterlo in contatto con qualche donna, pensando che il negozio fosse un’attività che ne copriva altre». Invece Nicola International Food, in via Monsignor Ventimiglia esiste da quarant’anni e lei lo ha rilevato appena cinque mesi fa e i sapori che dispensa sono di altra natura. «Qui arriva cibo di tutto il mondo» dice la signora Gonzalez, colombiana di nascita, spagnola di passaporto, italiana di adozione, catanese di spirito. Pungente come i verdetti che pronuncia: «Molti italiani, quando vedono una straniera pensano subito alla prostituzione. I nigeriani sono difficili, sembra che nessuno li abbia mai trattati con gentilezza. I marocchini sanno come essere sgarbati».

In realtà le sue non sono sentenze, ma battute che pronuncia col sorriso mansueto di chi è soddisfatta di se stessa: «Nel mio negozio nessuno ruba più, appena sono entrata ho fatto una pulizia generale, la disinfestazione dei locali e rimesso tutto in ordine. Respiro io e respirano i miei clienti, che sono tunisini, nigeriani, sudamericani, asiatici e tanti italiani. Perché? Alcuni vengono la prima volta per curiosità e poi ritornano perché io vendo con la verità. Spiego i sapori di alimenti e bevande, ad alcuni sconsiglio certe cose e li nvito ad assaggiarne altre sulla base dei loro gusti. Vendere è un’arte e io sono commerciante da sempre: a Bogotà dove sono nata, negli Stati Uniti, in Spagna e ora qui».

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