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Conte stia attento, la strategia delle mani libere favorisce la destra

Le riflessioni dopo il successo della coalizione M5S-Pd in Sardegna con l'elezione a presidente della Regione di Todde

Di Salvo Andò |

Tanti si chiedono se Conte dopo il successo, tutt’altro che scontato, del centrosinistra in Sardegna sia disposto a riproporre la stessa alleanza politica anche nelle altre regioni che andranno al voto nelle prossime settimane. Si tratta di capire se il leader dei 5S sia disposto a sottoscrivere un patto politico con lo schieramento progressista che operi a regime, e non solo quando la coalizione accetta un candidato indicato dai pentastellati. In passato Conte ha ritenuto conveniente per il suo partito praticare la politica delle mani libere. Riteneva in questo modo di rendere più evidente la centralità politica del movimento, così da favorirne il radicamento territoriale. Non pare a giudicare dai risultati che tale strategia si sia rivelata appagante. Il declino elettorale dei pentastellati è stato costante.

Con la candidatura della Todde in Sardegna, sostenuta con convinzione da un largo schieramento progressista, per la prima volta i 5S sono riusciti a esprimere un governatore di regione. Tenuto conto di ciò, pare irragionevole che Conte rifiuti la costruzione di una alleanza strutturale tra i partiti progressisti. Forse ciò poteva creare in passato dei problemi all’interno del partito grillino, che si caratterizzava per le troppe anime esistenti all’interno. Ma adesso pare che nel partito la leadership dell’ex premier sia accettata da tutti.

Conte spiega di temere una pretesa egemonia del Pd. Ma si tratta di un timore assolutamente infondato. Non pare che il partito della Schlein, che persegue la strategia della costruzione di un campo largo, costituisca da questo punto di vista una minaccia. Esistono le condizioni perché Conte, guidando un partito che dovrebbe avere una chiara identità riformista e non essere quindi solo un partito della protesta, possa concorrere alla pari con altri partiti a definire un programma di governo che, in occasione degli imminenti appuntamenti elettorali, dovrebbe favorire la formazione di una coalizione politica stabile, irreversibile. Una siffatta cultura delle alleanze richiede capacità di mediazione, senza peraltro mettere in discussione principi che devono essere inderogabili. Una coalizione destinata a reggere, e possibilmente a governare, non può basarsi sul principio gerarchico. Nessuno degli alleati, quindi, dovrebbe pretendere di dire l’ultima parola sulle candidature. Può chiedere ovviamente che si tratti di candidature convincenti, e ,quindi, né lottizzate, né imposte. In politica i numeri contano, ma in una coalizione plurale la dittatura dei numeri creerebbe tensioni irrisolvibili.

Non accettare il carattere strutturale dell’alleanza significa ritenere che il governo dell’estrema destra sia imbattibile, e che, quindi, sia fatica vana mettere insieme le attuali opposizioni per creare lo schieramento alternativo. Certe preoccupazioni di Conte possono essere fondate. Ma rifiutare il patto con cui si è vinto in Sardegna significa tradire le speranze di un popolo progressista che negli ultimi tempi ha collezionato solo sconfitte e che si sente rinfrancato dopo l’elezione della Todde.

La strategia delle mani libere era stata teorizzata da Grillo, ma si trattava di un’altra era politica, nella quale i pentastellati pensavano di potere rigirare l’Italia come un calzino. Ritornare alla politica delle mani libere è per Conte un grande rischio. Potrebbe improvvisamente scoprire di essere perdente nel Paese e nel partito. Conte ha cercato di stabilizzare l’identità del partito, facendo di esso un partito abbastanza di sinistra. Adesso si tratta di essere coerente rispetto a questa scelta. Sul terreno delle alleanze Conte non è stato mai molto chiaro. Non lo è neppure adesso. Ha fatto affermazioni durante la campagna elettorale per la Todde che confliggono con ciò che ha detto una volta vinte le elezioni. Aveva spiegato che «da soli non si vince e che è necessario rendere competitivo uno schieramento di centrosinistra, che finora ha fatto soltanto opposizione». E però, una volta incassato il successo elettorale ha spiegato che un’organica alleanza di centrosinistra sarebbe assolutamente fuori luogo nelle regioni in cui si voterà. Ma è davvero fuori luogo, se è questa la condizione necessaria per rendere contendibile la sfida elettorale con il centrodestra?

E se il campo largo, o quello giusto, venisse rifiutato, e nella regioni che vanno al voto la diserzione dei pentastellati dovesse risultare decisiva per la vittoria della destra, Conte ,che alla popolarità tiene moltissimo, non pensa che rischierebbe di essere travolto una inarrestabile ondata di contestazioni e discredito? È stato giustamente osservato da tanti che i partiti di centrosinistra possono anche perdere , ma da soli è molto difficile che vincano. La collaborazione tra Pd e 5S, insomma, deve fare da traino alla coalizione progressista. Non c’è dubbio che Conte ambisca ad assumere un ruolo centrale, facendo valere la sua esperienza di ex premier. Tutto ciò è comprensibile, a condizione che non pretenda di imporre degli aut aut all’intera coalizione, mettendone in discussione l’esistenza.

Salvo Andò, costituzionalista, è presidente nazionale di Lab DemCOPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA