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Perché le Br “scelsero” proprio Aldo Moro: il 9 maggio 1978 data spartiacque

Quel giorno diventammo di colpo adulti: la Repubblica nata dalla resistenza si dimostrava estremamente fragile

Di Agatino Cariola |

Quel giorno diventammo di colpo adulti: la Repubblica nata dalla resistenza si dimostrava estremamente fragile; l’uomo che più di ogni altro manifestava un disegno politico attorno al quale far camminare le forze politiche, quell’uomo era stato ucciso e il suo cadavere stava nel bagagliaio di una piccola macchina, di quelle usate dagli studenti universitari di media famiglia borghese.

Fino ad allora erano stati uccisi poliziotti e magistrati, ancora dopo saranno colpiti giornalisti come Tobagi e perfino sindacalisti come Rossa; ma la possibilità di arrivare al cuore dello Stato e di ucciderne il cervello era al tempo assolutamente lontana dalla storia dell’Italia e, forse, anche dalla sua convinzione di essere sostenuta da un destino provvidenziale.

La lite politica

Su Aldo Moro si è manifestata e si manifesta tuttora la lite politica. Eppure i fatti dovrebbero essere semplici. Un gruppo di terroristi, educatisi all’idea della violenza come levatrice della storia, hanno posto in scacco la Repubblica e preteso di trattare da pari a pari con essa. Lo Stato e le sue forze dell’ordine non sono riusciti a trovare il luogo in cui Moro era tenuto sequestrato: lo Stato era impreparato, aveva sottovalutato il fenomeno terrorista, e non l’ha saputo, ma anche non l’ha nemmeno voluto trovare.

Qualche anno dopo si saprà che quei vertici dello Stato erano espressione della loggia massonica di Licio Gelli: generali che avevano giurato sulla Costituzione e che andavano in giro tutti impettiti e pieni di medaglie, in realtà erano legati ad un’altra fedeltà che non quella alla Repubblica e alla sua Costituzione. La vicenda Moro testimonia appieno la dinamica che nelle teorie politiche viene chiamata del doppio Stato, cioè di livelli di organizzazione con le rispettive attività che sfuggono alla trasparenza pubblica ed ai processi di legittimazione democratica.

Un’ombra sulla Repubblica

Nel corso degli anni le due vicende – l’organizzazione e la gestione del rapimento da parte dei terroristi rossi e l’incapacità/volontà dello Stato di reprimere il terrorismo – sono stati sovrapposti e messi confusamente assieme, gettando un’ombra su questa Repubblica.

Perché Moro? Perché alla fine quel professorino pugliese, formato nell’Azione cattolica contrapposta negli anni trenta dello scorso secolo al totalitarismo fascista, indotto o forse anche costretto da Montini a buttarsi in politica, era quello che si manifestava come una testa pensante ed indipendente: conosceva la situazione dell’Italia tra i blocchi mondiali contrapposti, aveva presente le tensioni del Medioriente, eppure voleva rafforzare l’Italia repubblicana attorno alla sua Costituzione e porre le premesse per fare dell’Italia un Paese normale. Il suo partito si identificava con lo Stato quasi ad assicurarne la continuità; i partiti minori erano espressioni di élite e non aspiravano a divenire di massa; il partito comunista guardava ancora a Mosca; quello socialista appariva intrinseco a dinamiche di potere; quello che si definiva di destra risultava ancora guardarsi indietro.

Eppure Moro guardava alla necessità di rendere protagonisti tutti i partiti e poneva le basi per il superamento di quello situazione: cosa che avverrà solo venti anni dopo con la caduta del muro di Berlino, in un processo che non si è ancora concluso se continua la delegittimazione dell’avversario politico e se la politica vede oggi pretendere di conquistare tutti i campi di attività.

La classe politica migliore

Le Brigate Rosse hanno visto giusto a colpire Moro e non altri politici. Moro ragionava e “sognava”. Si ripete spesso che la classe politica è espressione del Paese reale. Non è vero: il ceto politico uscito dalla resistenza è stato guida morale dell’Italia. Quel professorino impersonava una classe politica migliore del Paese e questa alla fine è stata la sua colpa agli occhi delle brigate rosse che hanno inteso bloccare la situazione italiana e per diversi aspetti ci sono riusciti.

Alla mia generazione rimangono ancora impresse le parole di Paolo VI in occasione del suo funerale a San Giovanni in Laterano il 13 maggio 1978: «Tu non hai esaudito la nostra supplica per la incolumità di Aldo Moro, di questo uomo buono, mite, saggio, innocente ed amico». Nella bocca di un Papa sono parole di dolore e rabbia, quasi di rimprovero a Dio. Paolo VI usava ancora la prima persona plurale per indicare se stesso; eppure quelle parole declinate appunto al plurale non sono sbagliate perché in quel momento Papa Montini esprimeva i sentimenti di tutti gli italiani.

Non era solo il suo senso di colpa per aver spinto Moro a stare in politica; non era nemmeno la consapevolezza dell’inutilità del lavoro fatto da politici e forze dell’ordine; era la coscienza della necessità di rifondare le basi del vivere assieme in Italia: un noi collettivo che si apriva ad un nuovo impegno di ricostruzione della Repubblica, in un compito in cui avevamo perso i Maestri.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA