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Bolivia: chiesti sei mesi di carcere preventivo per Camacho

Per la magistratura c'è pericolo di fuga del leader oppositore

Di Redazione |

LA PAZ, 29 DIC – La magistratura boliviana ha chiesto sei mesi di carcere preventivo per il leader oppositore boliviano Luis Camacho, agli arresti da ieri nell’ambito del processo che indaga sui fatti che portarono nel 2019 alle dimissioni forzate dell’ex presidente Evo Morales e all’insediamento del governo ad interim di Jeanine Anez (2019-2020). E’ quanto si legge nella richiesta presentata oggi dalla Procura generale al giudice cautelare di La Paz. Nel documento, pubblicato dal quotidiano El Deber, viene ufficializzata l’imputazione nei confronti di Camacho per il reato di “terrorismo” e si sostiene l’esistenza di un concreto “pericolo di fuga e di inquinamento delle prove”. L’arresto del leader dell’opposizione ha scatenato da ieri un’ondata di violenza e proteste nella provincia di Santa Cruz di cui lo stesso Camacho è governatore. Manifestanti sono scesi in piazza per protestare contro quello che ritengono un ‘sequestro’ e, secondo i media locali, si sono verificati duri scontri con le forze dell’ordine. Le proteste, proseguite durante tutta la notte scorsa, sono state dirette principalmente contro la stessa polizia, con un attacco mirato a occupare direttamente il comando dipartimentale di Santa Cruz della polizia nazionale, e contro gli edifici della magistratura. Incendiata anche la casa del ministro dei Lavori pubblici, Edgar Montano, mentre gruppi di manifestanti hanno formato barricate per impedire il transito nei principali punti di accesso alla città. Sempre la Procura smentito ieri attraverso un comunicato l’ipotesi di un “sequestro” da parte della polizia del governatore di Santa Cruz. Nella nota si precisa che la richiesta di detenzione risale ad ottobre di quest’anno e che Camacho era al corrente delle accuse per le quali figura come imputato. “Non si tratta né di un sequestro né di una persecuzione politica”, si afferma nel comunicato dove si precisa anche che l’ordine di arresto è stato approvato da un giudice del Tribunale penale e che sono state rispettate tutte le istanze del “dovuto processo” così come “i diritti e le garanzie costituzionali” dell’imputato.

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