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Partiti
I mal di pancia di Forza Italia al pranzo con Tajani tra silenzi, sussurri e l’assenza di Schifani
Monta la rabbia sulla nomina-blitz di Faraoni, ma il leader sembra prendere tempo
Arriva in Sicilia da Hammamet, dove aveva onorato Craxi. E ieri il giorno della memoria di Sturzo. Ma sulle «inquietudini» del partito in Sicilia, della quale è stato messo a conoscenza, sembra piuttosto un doroteo alla Rumor. Ascolta, Antonio Tajani, ma non si esprime. Anche perché gli arrivano solo sussurri: nessuno, o quasi, ha il coraggio di porgli la questione apertamente. Nemmeno nel pranzo a Caltagirone, con Renato Schifani convitato di pietra. Tripla versione. La prima: «Voleva riposare dopo una settimana pesante». La seconda: «Gliel’hanno detto all’ultimo». La terza: «Ha voluto snobbare l’evento». Chissà qual è quella vera.
I fermenti in Forza Italia
Forza Italia ribolle. Gran parte del gruppo all’Ars (di certo tutti i deputati-commensali di ieri, ma anche qualche assente giustificato) non ha digerito il «secondo smacco» del governatore: la nomina-lampo di Daniela Faraoni alla Salute, «senza che nessuno di noi ne sapesse nulla». Con uno schema identico al «colpo di mano» sul precedente «tecnico d’area», Alessandro Dagnino all’Economia, altra scelta fiduciaria di Palazzo d’Orléans. Ma stavolta con un’aggravante che fa imbufalire i forzisti: la nuova assessora «risponde a Luca Sammartino». Circolano pure la data (mercoledì scorso) e il luogo (Roma) dove si sarebbe consumato «l’accordo» fra Schifani e il suo ex vice. Non potendosi, per ovvie ragioni, indirizzarsi altrove, l’ira dei delusi forzisti si scaglia sul coordinatore regionale Marcello Caruso, imbarazzato dal contestuale ruolo di segretario particolare di Schifani. «Non riesce a tutelare il gruppo dell’Ars, non può più restare», la tesi di chi vuole la sua testa.
La “holding dei moderati”
In questo clima arriva Tajani. Che attesta Marco Falcone come riferimento siciliano del partito: prima con lo smoking nel palco reale del Bellini di Catania alla prima della “Norma”, poi nella mattinata a Caltagirone, raccogliendo l’idea del vicesegretario nazionale di Forza Italia Giovani, Antonio Montemagno. Commossa visita al mausoleo del prete-statista, poi bagno di folla al convegno sull’“Appello ai Liberi e Forti”, con 200 persone rimaste fuori dal Politeama. Musica per le orecchie del segretario che anche ai siciliani espone il suo piano di «una holding dei moderati».Per sillogismo politico Falcone dovrebbe essere il leader alternativo a Schifani, o almeno il capo della fronda. Ma l’eurodeputato si sfila. O, per meglio dire, a chi lo aizza risponde: «Non è il momento». Qualcuno gli lancia persino l’idea del suo storico capocorrente Maurizio Gasparri, sempre accanto a Tajani in queste ore siciliane, come «super commissario» per mettere ordine nel caos siciliano. Non se ne fa nulla, manco a parlarne. Falcone non vuole più fare «l’incendiario» come nelle sfide, tutte perse, al precedente leader Gianfranco Miccichè. Resta fermo, osserva da Bruxelles l’evolversi degli eventi. Fra un po’ c’è la giostra del sottogoverno: decine di posti in partecipate ed enti regionali.
I ribelli
E allora i ribelli che fanno? Mugugnano. Ma quando qualcuno propone di «inviare una lettera a Roma» cala il silenzio. Lo stesso che, sull’argomento, si registra anche al pranzo con Tajani. Caponata, parmigiana, cous-cous, bresaola, caserecce con salsiccia e funghi, prima del gran finale in dolcezza: “teste di moro” di cioccolato ripiene di ricotta fresca. Il must calatino tornerà, nella versione in ceramica, nel prezioso regalo a Tajani. Applausi da tutti i presenti. Compreso l’ospite “federato”, Raffaele Lombardo. Sornione e defilato, ma rilassato, persino divertente quando inscena un duetto con «la ragazza terribile» Luisa Lantieri. Un baffo molto più tormentato è quello di Totò Cardinale. L’ex ministro, guru della corrente degli ex Sicilia Futura (non c’è Edy Tamajo, trattenuto da un battesimo in famiglia, presente Nicola D’Agostino) prova in tutti i modi ad appartarsi con Tajani per «infilargli il discorso»; non è dato sapere se ci sia riuscito. Attovagliato c’è anche il sindaco di Ragusa, Peppe Cassì, che gongola quando il leader apre le porte agli «amministratori locali, civici e moderati».
Il “caso Faraoni”
Eppure – come nelle tavolate di famiglia in cui c’è un problema, ma nessuno ha il coraggio di affrontarlo – del “caso Faraoni” non si parla. Tanto più che Tajani fa pure una «cordiale telefonata di benvenuta» alla nuova assessora. Qualcuno la prende come una certificazione che, volenti o nolenti, «Schifani è riconosciuto come leader regionale del partito». Tanto più che il vicepremier, nel suo discorso a tavola, auspica che «Forza Italia nazionale diventi come quella siciliana». E, mentre pronuncia questa frase, a Caruso (mandato in avanscoperta dal presidente come un samurai solitario) va quasi di traverso il sorso di Etna Doc per la felicità. Ma non è che, come i bambini figli unici che si costruiscono l’amico immaginario, i malpancisti azzurri abbiano un “nemico immaginario” (Schifani) di cui il segretario nazionale sconosce l’esistenza? Tutti tacciono, tranne uno. «Tajani sa tutto, ma conosce bene Renato e per ora non farà nulla. Ma solo per ora». Il che non significa niente. Solo una vaga minaccia a futura memoria, nel gioco del silenzio forzista.