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L'INTERVISTA

Intervista al ministro Calderoli: «Cari siciliani non venite più a Roma col cappello in mano»

Il ministro degli Affari regionali. «La partita finanziaria Stato-Regione? Non si chiude un contenzioso con quattro palanche, chiedete i “pìccioli”. Autonomia differenziata, così ho chiarito i dubbi di Schifani e assessori»

Di Mario Barresi |

Ministro Calderoli, è riuscito a  “evangelizzare” il governo regionale sull’autonomia differenziata che le sta tanto a cuore?

«È stato un proficuo incontro, a Palermo, con tutta la giunta. Ho illustrato il progetto, soprattutto ho ascoltato domande e i timori. Credo di averli rassicurati su quelli che ritenevano rischi e che invece per me rappresentano potenzialità».

Anche Schifani che, col dovuto garbo, aveva espresso perplessità?

«Il presidente Schifani non s’era espresso su un testo, ma su delle considerazioni generali e generiche che si leggevano sui giornali. Io ora ho trasmesso un atto e in Sicilia ho trovato persone che l’avevano letto e s’erano preparate. Così il 90 per cento dei problemi è venuto meno».

Il restante 10 per cento riguarda i Livelli essenziali delle prestazioni, che aumenteranno il divario  Nord-Sud?

«I Lep non servono per l’autonomia differenziata, ma “anche” per l’autonomia differenziata. Lo dice la Costituzione: una volta che stabiliamo quali sono i diritti civili e sociali, indipendentemente che sia lo Stato o la Regione a erogarli, il cittadino deve sapere ciò cui ha diritto. Cosa che nessuno ha mai fatto».

Ma questa linea per lei è stata un boomerang. È il fondamento delle battaglie contro il ministro Calderoli.

«A me delle battaglie contro il ministro Calderoli non interessa nulla. Io ho detto sin dall’inizio che, oltre a stabilire i Lep, bisogna fare una fotografia, da Bergamo a Palermo, su tutto quello che nelle regioni ciascuno ha ricevuto, in modo che, anche in base alla spesa storica, si sappia chi ha avuto tanto e chi poco, affinché ogni cittadino sia informato su quanto i suoi amministratori, locali e regionali, hanno ricevuto e lo possa confrontare con la qualità dei servizi. Niente più alibi: forse questo è uno degli aspetti che preoccupa qualcuno».

Nel governo restano perplessità. Tajani ha espresso quelle, pesanti, di Forza Italia. La premier Meloni prende tempo. Ma la Lega vuole tutto e subito…

«Proprio ieri (sabato per chi legge, ndr) ero a Monza, città simbolo della velocità. E ho citato il detto della gazzella e del leone, costretti entrambi, per motivi diversi, a svegliarsi ogni mattina e a correre. Ebbene, io non voglio fare né la gazzella né il leone. Ma il pachiderma. Quello con la pelle dura, che a piccoli passi va avanti. E non lo ferma nessuno. Ma l’autonomia differenziata io la voglio fare convincendo tutti».

In molti, però, non sembrano del tutto convinti della sua riforma.

«Se voglio arrecare danni a una parte del Paese a vantaggio di un’altra, qualcuno mi spieghi l’articolo, il comma, il rigo in cui c’è questo rischio. Se capisco che c’è un errore, cambio subito. Ma ancora  nessuno m’ha detto dov’è scritto».

A Palermo avete parlato  pure d’insularità. In che termini?

«S’è affrontato il tema. E ho spiegato come fare presto per concretizzarlo. Ho suggerito a Sicilia e Sardegna di salire sul primo treno possibile: una legge sulle isole minori, già approvata in prima lettura all’unanimità al Senato, prima dell’insularità in Costituzione. Se a quel testo, su cui mi sono impegnato con i sindaci di Lampedusa e Pantelleria, si aggiungessero le norme di attuazione dell’insularità sarebbe un bel colpo». 

Magari non basterà a risolvere problemi legati a logiche di mercato. Come il caro-voli, che per i siciliani è già un incubo tre mesi prima di Pasqua…

«Vero, com’è vero anche lo sproposito del prezzo maggiorato dei carburanti nei distributori delle piccole isole. Ma il problema è quanto costa in Sicilia rispetto al continente. E quindi, anche con misure diverse, l’insularità e le sue difficoltà vanno affrontate. Chi viene portato a lavorare al Nord dev’essere messo in condizione, magari con un incentivo nella mansione che va a svolgere, oltre che con prezzi dei collegamenti che non svuotino lo stipendio per ricongiungersi con la famiglia. C’è anche la fiscalità di vantaggio, gli strumenti possibili sono tanti…».

È arrivato il momento di un “tagliando” ai rapporti finanziari Stato-Regione?

«Lei è riduttivo quando parla di tagliando (e scoppia a ridere, ndr). Qui bisogna ricostruire la macchina. La Sicilia è il simbolo dell’autonomia, non solo perché il vostro Statuto precede la Costituzione. Ma perché è uno strumento rimasto solo sulla carta, mai attuato. Non c’è niente da inventare: nella mia riforma sulle 23 materie ho preso l’esempio delle commissioni paritetiche come strumento per  monitorare costi e attuazione. Non vedo perché le attuali paritetiche per le Regioni e le Province a statuto speciale non devono intanto fare ciò che già oggi possono fare».

E cioè? Ci illumini…

«Articoli 36 e 37 del vostro Statuto… Tranne le accise, tutto il resto è lì.  Altrove fanno i cercatori di tartufi per mettere nelle commissioni persone di altissimo livello, bisogna che la Sicilia faccia lo stesso. Se Bolzano mette il bergamasco Calderoli che non c’entra nulla, perché la Sicilia non può tirare fuori le cose dai cassetti e litigare con ministeri e Chigi? Potete già farlo, perché non lo fate?».

Permetta la controdeduzione: non dipende soltanto dalle commissioni paritetiche. Se non c’è la disponibilità del governo quasi tutto diventa  inutile.

«La disponibilità c’è. Ma io sono dell’idea che è scorretto che una Regione debba andare a Roma col cappello in mano a chiedere le risorse a livello dello Stato centrale. Cari siciliani, non c’è bisogno. La Regione ha lo strumento di una norma di attuazione, che si traduce in un decreto legislativo, più di una legge ordinaria nella gerarchia delle fonti. E poi bisogna solo andare a battersi affinché quel decreto legislativo passi». 

Ci siamo allontanati dal tema del contenzioso finanziario fra Stato e Regione. Lei, da ministro leghista, alza il muro? Del resto la Regione ha rinunciato a qualche miliardo, seppur soltanto teorico, in cambio dei 200 milioni del Salva-Sicilia per chiudere il bilancio.

«Ma quale muro! Io sono il vostro migliore alleato. Non venite  più a chiedere l’elemosina. Non si possono chiudere dei contenziosi, me lo lasci dire senza specificare gli argomenti, con quattro palanche. Eh no, caro Stato: ora  quello che mi devi, mi devi. Io non tratto, non mi accontento. Fuori i “pìccioli”…».

Ministro, comprenderà che ciò che sta dicendo   è sorprendente…

«Sono le stesse cose che ho detto al governo regionale, indicando degli strumenti, forse impropriamente perché non è compito di un ministro, né del governo. E ho pure suggerito di fare massa critica, in Conferenza Stato-Regioni, con gli altri enti a statuto speciale».

Anche sulla riforma delle  Province col governo regionale vi siete allineati?

«Io sto lavorando sul modello nazionale. L’unica differenza è che il governo regionale, preso atto di come non hanno funzionato, vuole applicarlo anche alle Città metropolitane. E, per quello che mi dicono, fa benissimo a farlo…».

Lei era a Palermo nelle ore più calde del caso Cannes. Che idea s’è fatta?

«Non si parlava d’altro! Non entro nel caso specifico, che ho letto solo sui giornali. Mi limito a un principio valido per tutte le risorse pubbliche: è meglio non spenderle, che spenderle male».

Non le ha fatto impressione trovare in Sicilia un leghista vicepresidente della Regione? Impensabile, fino a qualche anno fa, quasi come vedere Salvini big sponsor del Ponte sullo Stretto. Come si cambia…

«Se lo Stretto di Messina fosse in Lombardia, il Ponte sarebbe già stato realizzata 70-80 anni fa… Non capisco perché non è stato ancora fatto, devono esserci dietro interessi oscuri e molto grossi. Su Sammartino nessuna impressione: l’ho incontrato diverse volte a Roma in Conferenza in veste di delegato del presidente Schifani, impegnato nei casini di far partire il suo governo. Il punto non è il ruolo apicale: bene il vicepresidente, ma mi han fatto piacere la quantità e la qualità dei nostri deputati regionali». 

Allora niente ritorno a quel Carroccio “old style”, evocato dai nemici di Salvini, che si ferma poco sotto la Padania?

«Assolutamente no. Al momento giusto sarà la miglior dimostrazione che, dopo un periodo di magra, perché l’8 per cento alle Politiche per me questo è, si può investire a medio termine sulla nostra classe dirigente  e  sul consenso del partito in tutta Italia».

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