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Ragusa e la gestione del castello di Donnafugata, Campo e Firrincieli: “Il sindaco vuole avere ragione a tutti i costi anche quando l’evidenza dei fatti dice altro”

La deputata regionale e il consigliere comunale dei Cinque Stelle chiariscono che cosa non va nell'intera vicenda

Di Redazione |

“Cassì fornisce numeri al ribasso sulle entrate del castello di Donnafugata, e anche sul vero valore di Palazzo Zacco, quasi a voler giustificare e prendere le difese dei partner che hanno presentato la proposta offrendo solo 30mila euro annui al Comune di Ragusa per ottenere la gestione dei beni. Siamo stanchi di questo estenuante tentativo di voler avere ragione a tutti i costi anche quando l’evidenza dei fatti dice tutt’altro. Facendo così, il sindaco non fa altro che sminuire il prestigio del castello e il valore stesso di un palazzo Unesco, depotenziandone conseguenzialmente la forza attrattiva e scoraggiando potenziali soggetti interessati alla partecipazione alla “gara”, o meglio alla procedura di partenariato speciale che, come è noto, sta solo ora beneficiando della proroga di un mese a seguito della fortissima polemica scoppiata a cavallo del Ferragosto e del conseguente intervento del prefetto di Ragusa”.

Lo dicono la deputata regionale del Movimento 5 Stelle, Stefania Campo, e il consigliere comunale, Sergio Firrincieli (nella foto), che tornano ad alzare l’attenzione sulla vicenda della gestione del castello di Donnafugata e di palazzo Zacco a Ragusa. “Se il sindaco fosse veramente interessato a un’ottimale gestione dei due beni, avrebbe dovuto operare per la più ampia partecipazione possibile alla “gara” e non fare dichiarazioni che vanno nella direzione contraria. Inoltre, se è così certo che il castello non produce guadagni, visto che secondo lui fra entrate e uscite va in pareggio, perché prima di avventurarsi sulla strada del partenariato, e quindi della esternalizzazione, non ha dato seguito a una dettagliata analisi di economicità su questa modalità di gestione? Questo documento di valutazione, oggi mancante, è assolutamente necessario per capire quale importo sia veramente congruo per un canone accettabile – proseguono Campo e Firrincieli – Noi non ci stiamo a stare in silenzio, non riusciamo a capire come si possa continuare a leggere sui giornali dichiarazioni così vaghe e non supportate da nessuna seria documentazione di analisi economica. A nostro avviso l’assenza di questo atto potrebbe anche inficiare l’intero procedimento perché senza corrette informazioni di partenza e senza numeri reali di riferimento, la commissione valutatrice, che sarà chiamata a decidere dall’Amministrazione Cassì, non avrà i giusti parametri per decidere e, pertanto, non potrà assumere a cuor leggero alcuna decisione. Del resto questo è previsto dal comma 2 dell’art. 175 del Codice dei contratti pubblici (D.lgs. n. 36 del 2023). L’Anac, difatti, a tal proposito, ha espressamente preteso questo istituto giuridico proprio per frenare l’impeto di privatizzare il patrimonio pubblico. Ed è in considerazione anche di questo indirizzo che abbiamo chiesto accesso agli atti, senza ancora ricevere nulla, restando così ancora in attesa di leggere le carte e poterci vedere finalmente chiaro. Oggi, difatti, l’unico dato certo su cui abbiamo elementi e dati certi è che il Comune, da ente pubblico, ha fatto grossi investimenti sul castello e ne ha moltiplicato in pochi anni i profitti. Il privato, al contrario, non propone nessun investimento “strutturale” sui due beni che andrebbe ad amministrare, si parla semplicemente di spese necessarie all’ottimizzazione della gestione stessa. Non capiamo pertanto da cosa scaturisca la cessione dei beni comunali per una durata di addirittura dieci anni, rinnovabile per altri dieci, visto che i beni sono già in buone condizioni e il privato non è chiamato a giustificare l’ammortamento di alcuna spesa. Risulta anche evidente a tutti che un tempo così lungo di affidamento coinvolgerebbe le future Amministrazioni, limitandone l’autonomia politica, e si prefigurerebbe quasi come un percorso di non ritorno. Ne consegue che il Comune continuerebbe a investire soldi pubblici sul castello e su palazzo Zacco, ad esempio per la manutenzione straordinaria, mentre il privato ci guadagnerà, occupandosi solo dei costi di gestione finalizzati ad attività che portino profitto alla propria impresa. Questa che si sta generando sembrerebbe una terribile querelle tra l’interesse pubblico, che attiene al godimento di un bene e alla sua libera fruizione, e l’interesse privato da raggiungere, e che ovviamente non avrebbe nulla a che vedere con gli obiettivi principali del bene comune bensì con altre finalità. Ovvero, trarre profitti del tutto sproporzionati rispetto al canone offerto, senza fra l’altro essere tenuto a contemperare le esigenze di chi al di fuori del castello, e con somme proprie, effettua investimenti da anni e oggi rischia di vedersi prevaricato da una concorrenza sleale che potrebbe mandare in fumo molti dei propri sacrifici”.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA