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La Sicilia “regina” del destination wedding

Boom di nozze nei palazzi storici, nelle chiese, nelle masserie dell’Isola I luoghi conosciuti con le serie tv, il cibo, il clima, i costi abbordabili fra le ragioni del successo

Di Redazione |

In principio fu Montalbano (nel senso della fiction) a far conoscere oltreoceano i paesaggi del Barocco e dei muretti a secco del Sud Est. In tempi più recenti il matrimonio social dei Ferragnez a far correre le prenotazioni per sposarsi nelle masserie agrochic di Noto. Ora è arrivata la “sirena” di The White Lotus ad ammaliare i futuri marito e moglie nella scelta del “set” dove pronunciare il sì. Nel 2022 sono stati registrati 11.000 matrimoni di stranieri in Italia e, tra questi, 2.000 coppie sono sbarcate in Sicilia per sposarsi, assicurando 2 milioni di presenze nel comparto turistico in generale.

Ne sa qualcosa Giulia Ferro, wedding planner di “Maritari”, che da otto anni, organizza e asseconda desideri e aspettative di italiani e stranieri che vengono qui per convolare a nozze portandosi appresso le esigenti carovane di amici e parenti.

Commenda di San Calogero (Brucoli) – Foto Nunzio Bruno

Partiamo dall’inizio che vuol dire destination wedding?

«È un’espressione che non tutti conoscono e si tratta di quei matrimoni che vengono celebrati in un luogo diverso da quello della città nativa degli sposi. Non riguarda soltanto gli stranieri, ma anche gli italiani che decidono di sposarsi in una regione diversa».

Perché questa “mania” di venirsi a sposare in Sicilia?

«I motivi sono diversi. O perché hanno origini siciliane, in questo caso sono tantissimi quelli che provengono dagli Stati Uniti, o perché vogliono coniugare il wedding day con un viaggio in cui coinvolgere amici e familiari o, ancora, perché hanno fatto un precedente viaggio in Sicilia, se ne sono innamorati, e decidono di venire qui a sposarsi. Un altro motivo è la versatilità della Sicilia. Qui ti puoi sposare in montagna, in campagna, in collina, sulla spiaggia, in una città d’arte e lo stesso principio vale per il luogo dove celebrare, chiese, palazzi nobiliari, vecchie tonnare, ville tradizionali immerse negli agrumeti, negli uliveti, nei campi di grano, nelle vigne… Infine il clima, che permette di scegliere la data in una forbice molto vasta, da aprile a novembre».

Poi c’è l’enogastronomia…

«Fondamentale. Gli stranieri cercano cibo di qualità e vini pregiati, piatti tradizionali ma rivisitati dall’innovazione in cucina».Parliamo sempre di una fascia alta…«Sì, ma anche medio-alta. Poi i cosiddetti matrimoni “no budget”, in cui si parla di cifre elevate, ci sono eccome. Lì gioca molto il ruolo della wedding planner, la gestione del budget è la prima cosa da considerare».E lei come si regola?«Dando molta importanza ai fornitori locali, ormai ho una lunga lista, so quali associare al budget disponibile di quella determinata coppia».Esiste una mappa dei luoghi più richiesti?«La maggior parte sono nel Siracusano, Noto su tutti dopo Chiara Ferragni, ma tutto il Sud Est “tira”, per esempio la tonnara di Marzamemi. Ancora, la Scala dei Turchi, la tonnara di Scopello…».

La wedding planner Giulia Ferro (Foto Enkant Imagery)

E qual è il canale attraverso cui “arrivano” i potenziali clienti?

«In primis Instagram, ma non lo dico io, me lo dicono gli sposi. Io chiedo loro “come siete arrivati a me?”, e Instagram è la prima risposta. Da lì, cercano il sito e mi contattano. Poi è sempre valido il passaparola».

Che genere di rito si sceglie di più?

«Oggi per la maggior parte sono riti “simbolici”, possono essere celebrati anche da un amico o da un parente e gli sposi tendono a “personalizzare” la cerimonia. Recentemente ho organizzato un matrimonio di americani che sono entrati tutti ballando sulle note di “Volare”. Sposi, testimoni, paggetti, la mamma dello sposo…».

Esiste ancora la superstizione di non sposarsi in agosto?

«Assolutamente no, ormai ci si sposa quando c’è una data libera, soprattutto se la location è molto richiesta, noi lavoriamo in genere con un anno d’anticipo».

Quanto costa un matrimonio tipo?

«Per un matrimonio medio-alto con 100-120 invitati si va dai 30mila euro in su. C’è da dire che la Sicilia è più accessibile dal punto di vista economico cosa che rappresenta un altro motivo d’appeal».

Canonica degli Archi (Riposto) Foto Enkant Imagery

Le voci più care?

«Catering e fiori, adesso c’è un numero di fornitori veramente importante, una volta non esisteva nemmeno la figura della wedding planner, il matrimonio si organizzava in casa, se ne occupavano i genitori. Oggi è tutto diverso, è una vera festa in cui la regìa è fondamentale».

La situazione più difficile che ha dovuto affrontare?

«Più che altro la gestione di un piano B. In alcuni posti non ci sono spazi al chiuso per rimediare se si mette a piovere. Mi è capitato nella tonnara di Scopello un matrimonio di stranieri sotto la pioggia. Loro avevano così tanta voglia di stare all’aperto che hanno mangiato fuori con l’ombrello o un tovagliolo sulla testa. Sono quelle situazioni in cui comunque devi organizzarti velocemente».

Le skill di una wedding planner?

«Disponibilità, duttilità, capacità di problem solving… Anche la capacità di coinvolgere la coppia, a me per esempio, piace far conoscere la mia terra agli sposi, non organizzo mai in posti che non rispecchiano la sicilianità per come la intendo io».

Balata di Marzamemi (foto Deborah Lo Castro)

Nei matrimoni c’è la cattiva abitudine di sprecare il cibo. In tempi di sostenibilità alimentare come vi siete attrezzati?

«Facciamo parte di un’associazione di Siwepa, un’associazione di wedding planner siciliani con la qualestiamo promuovendo un progetto ancora in embrione. Vogliamo diventare la sede siciliana di un organizzazione nazionale che si occupi del recupero del cibo durante gli eventi».

Una classifica di ciò che gli stranieri chiedono di più?

«I nostri colori, in tutte le forme. I centrotavola con arance e limoni, le luminarie delle feste patronali, le ceramiche di Caltagirone come bomboniere… Queste ultime le conoscono davvero in tutto il mondo grazie a D&G che hanno usato i disegni nelle loro creazioni. E poi le teste di moro, impazziscono per quelle…».

Ma la conoscono la leggenda macabra che c’è dietro questa usanza (la testa mozzata di un pretendente usata come vaso per il basilico ndr)?

«No questo non glielo abbiamo raccontato (ride ndr)… ma magari con le parole giuste…».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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