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Sicilia secondo me

Giovanna Taviani, l’ex bimba capricciosa in “Kaos” innamorata di Salina: «E’ isola dentro isola»

Ideatrice e fondatrice del SalinaDocFest, la regista e scrittrice arrivò lì per la prima volta all'età di 4 anni. E lì vive ancora

Di Maria Lombardo |

Nel film “Kaos” (Lipari, 1983) c’era anche lei, bambina. Piangeva per il divieto della mamma di arrampicarsi con i coetanei sul pendio. Poi la gioia dell’arrampicata concessa. Storia di famiglia e di cinema quella che lega Giovanna Taviani alle Eolie, specie a Salina. Diciotto anni fa la figlia di Vittorio Taviani ha ideato e fondato il SalinaDocFest (l’edizione 2024 si è da poco conclusa). Ma lei è ancora lì. Arrivò nell’isola a quattro anni con papà Vittorio e zio Paolo – i mitici Fratelli Taviani – mamma, zia, fratelli e cugini. Lunghe estati nella casa che negli anni Settanta, era un rudere abbandonato.

Famiglia toscana, trapiantata a Roma e radicata in Sicilia, la vostra.«Bambini con genitori e cani abbiamo vissuto la nostra infanzia a Salina, tutte le estati. C’erano Tobia, il pirata di Genova approdato qua, che appare nel mio film “Fughe e approdi”, Carmelo che saliva a piedi a casa a portarci il pesce spada appena pescato, Teodoro e Salvatore che ci fecero scoprire Lipari e le sabbie bianche dove papà e zio Paolo girarono la scena cui presi parte, assieme a fratello e cugina, oggi nel mondo del cinema anche loro, uno compositore l’altra costumista».

Cosa nasce dal legame con l’isola?«Salina è isola dentro isola. Il mio rapporto con l’isola maggiore dipende dalla gente di qui e dalla mia famiglia che aveva sempre guardato alla Sicilia della letteratura. Ho fatto le mie tesi e ricerche sulle novelle di Pirandello. Grande l’amore di Paolo e Vittorio non solo per l’Agrigentino (che oltre “Kaos” ha loro ispirato “Tu ridi” e “Leonora addio” firmato dal solo Paolo). Dall’altra parte, interesse per la questione meridionale anche attraverso “La terra trema” di Visconti. Erano intellettuali impegnati. Hanno voluto tornare al sud per raccontare che Cristo si è fermato a Eboli con “Un uomo da bruciare” (1962) codiretto da Valentino Orsini, ispirato alla vita del sindacalista Salvatore Carnevale. La Sicilia li attirava sul piano antropologico e sociale, per la grecità. Io torno qui anche fuori stagione e l’insularità è la mia bandiera. Venivo a studiarci quand’ero all’università e vengo sempre per dedicarmi alla scrittura. In ottobre, novembre, dicembre è atroce, c’è molto umido, niente da fare in giro. Il SalinaDocFest posa sul motto “isolani sì isolati no” che significa dare visibilità agli invisibili. Isolati documentaristi e isolani, insularità privilegio ma non isolamento. I documentari devono circolare e i collegamenti con le isole migliorare».

Paolo e Vittorio Taviani

E il suo rapporto con l’isola maggiore?«Comincio a frequentare Palermo come insegnante, prima che come regista, e conosco una delle figure importanti della mia vita: l’editore Palumbo che sta nel comitato d’onore del festival assieme a Romano Luperini, mio docente e maestro all’Università di Siena. Tengo corsi nelle scuole e scopro la mia città ideale. Conosco poi Marsala che inserisco anni dopo nel mio road movie “Cuntami” (2021), assieme a Trapani, Partinico , Paternò, l’Etna, Gela. A Gela “ritrovo” papà e Paolo che avevano conosciuto Ciccio Busacca e vi avevano girato l’episodio siciliano del documentario di Joris Ivens “L’Italia non è un paese povero”».

Vita e cinema, unica cosa?«Sto scrivendo un romanzo-saggio sulla confusione tra vita e set: memoria collettiva della mia vita e della mia generazione».

I rapporti con i siciliani?«Quando andavo a Palermo appena laureata per fare corsi di aggiornamento mia madre aveva paura perché era la terra della mafia dove la gente si sparava per strada. Mio padre e zio Paolo l’hanno denunciato nei film. Ma alla fine degli anni Novanta e nel Duemila Palermo è cambiata, Orlando le ha dato una svolta come capitale della cultura. Cercavo casa a Palermo dove ho trovato una comunità di persone fortemente acculturate, per non parlare dei narratori orali, i cuntisti (Mimmo Cuticchio, Gaspare Balsamo, Giovanni Calcagno, Yousif Jaralla, Mario Incudine). In Sicilia è ancora un mito la chanson de geste. E qui c’è un volo pindarico da Salina alla Sicilia».

Dove s’inserisce il suo festival?«Il SalinaDocFest esalta l’insularità, pensiamo a una partnership mediterranea. Ora sono a Salina per dedicarmi alla scrittura del mio nuovo film che sarà di finzione, cui collabora Federica Rossi (università di Ginevra) e col quale ho vinto il bando selettivo di scrittura del Mic. Poi vado a Parigi dove vedrò Maria Chiara Prodi direttrice della Maison d’Italie che è stata ospite a Salina per un incontro con Giulia Calenda su “Donne e Costituzione”. Devo a lei il contatto con “Dolce vita sur Seine” festival parigino di cinema italiano».

Ha diversi collaboratori tra cui il suo vice Antonio Pezzuto…«L’anno scorso ho lasciato il palco dicendo “Mi ritiro, mi devo occupare del mio film “. Ho proposto la presidenza temporanea a Giulia Giuffrè (Irritec) che ha accettato e che ringrazio. Resto direttrice artistica. Con Gaetano Calà vicepresidente dell’Associazione Salina Doc Fest pensiamo a una Fondazione che rimanga dopo di noi».

Cinema è anche economia?«Da uno studio dell’Università di Palermo risulta che dalla nascita del Festival a oggi, il tasso di occupazione delle strutture alberghiere a settembre è salito dal 18 all’80 per cento. Il meteo ci ha danneggiati quest’anno, ma a settembre, fra matrimoni e festival, non si è trovato un buco. Nota amara però: avevo il sogno di proiettare come si fa a Locarno con 2000 persone in piazza. Non si è avverato. O meglio si è avverato solo con i cantanti Vinicio Capossela o Irene Grandi, non con i film. Quest’anno causa vento e pioggia niente proiezioni in piazza, l’unico posto in cui la gente viene. La cultura non tocca le masse. Un amico del posto, con candore, una sera vedendo il mio scoraggiamento, mi ha detto “Ma chi te lo fa fare?”. Ci rifletterò, anche se con amarezza. Comunque abbiamo un progetto di laboratori scolastici per educare al cinema, in modo da legare di più la popolazione locale al Festival».

Operatori culturali e insegnanti hanno un peso.«La crisi della sala c’è ma il cinema italiano sta molto bene e il pubblico ha ripreso ad andare. Garrone e Cortellesi, un vero boom. A pensarci bene, l’unico motivo per cui non mi trasferisco in Sicilia e la casa l’ho poi comprata a Roma è perché mancano le sale. A Roma vado al cinema tutti i giorni! In questo senso la Sicilia la amo e la odio. Papà e Paolo citavano Goethe: “deserto di fecondità”. Questa la contraddizione fra Sicilia e siciliani».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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