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Ornella Muti “governante” a Catania

                  

Di Amelia Cartia |

CATANIA – Che il suo sorriso bucasse lo schermo era cosa nota. Ma che la stessa magia la sapesse fare anche solo con la voce no, non era previsto. Divina e gentile, Ornella Muti è a Catania per provare lo spettacolo “La Governante”, che debutterà al teatro Abc venerdì 18 (quattro repliche nel weekend, già sold out, precedute da due serate di prove aperte al Vittorio Emanuele di Messina ieri sera e oggi, poi in tournée in tutta Italia fino a marzo). Col permesso delle schiere di uomini che ancora sospirano per la malìa dei suoi tanti, tantissimi film, Francesca Romana Rivelli, la diva Ornella, dichiara il suo amore per il teatro.

Benvenuta a Catania. Anzi: bentornata. Perché è proprio da una storia siciliana, il film “La moglie più bella”, che ebbe inizio la sua carriera. (Sorride, ndr) «Direi di sì».

C’è molta Sicilia anche in questo lavoro: la regia di Ferro, sul palco è con Enrico Guarneri. Qual è il rapporto con la Sicilia? «La conosco bene, da tanto, ed è bellissima. Ma questo credo che non debba essere io a dirlo, perché è una terra meravigliosa. A volte dura, però è meravigliosa. I siciliani, poi, sono stupendi: hanno un’accoglienza che ovunque si è dimenticata, io non la riscontro mai così calorosa come qui. Veramente: qui la gente non si fa in quattro, si fa in ventiquattro».

Il testo è di Brancati, altro siciliano. «Un siciliano di una modernità estrema. Mi piace parlare di questo aspetto, perché quando parlo di Sicilia, anche quando sono a teatro, ogni tanto mi giro e vedo degli angoli, degli scorci che sono così antichi. Sono angoli di una tradizione, dove si sente, dove trasuda, la realtà siciliana. E questo ancora c’è, e così come è meraviglioso che i siciliani riescano a tenere ancora un grande attaccamento alle tradizioni, alla cultura, c’è nello stesso tempo questa grande modernità, anche in Brancati. Questo testo è stato scritto nel ’52 e lo hanno censurato. Se perfino oggi il tema dell’omosessualità, specie quella femminile, è ancora poco approcciato, pensa a quell’epoca. Questa donna, la protagonista, voleva essere un’altra persona. Pensa che tormento, che paura, quanta maschera, quanta sofferenza».

La protagonista, la Governante, si ritrova in un conflitto generato da pudore e maldicenze… «Lei non lo affronta da subito. Il suo dramma è proprio avere dentro qualcosa che lei non vuole riconoscere, che condanna, che non vuole. Ma la presenza di questo qualcosa in lei le fa perdere il controllo. Il conflitto è tutto con se stessa. Anzi, lei cerca di essere generosa anche con la ragazza che fa licenziare al posto suo. Il conflitto è suo, è per la sua sopravvivenza. Quando agisce in modo equivoco non lo fa perché è cattiva, ma per sopravvivere, e soffrendo».

Come affronta un personaggio così controverso? Quanto mette di se stessa e cosa le è estraneo? «La Governante è un testo che è stato fatto molti anni fa sia al cinema che al teatro. Mi guardo indietro per calarmi in un personaggio in cui io non mi riconosco, faccio fatica anche io a mettermi dentro i movimenti che fa lei nella sua sofferenza. Che lei paga cara. Oggi, in questa epoca io non so cosa farei nei suoi panni, forse scapperei, non si può dire. In passato questo personaggio ha avuto interpretazioni molto da “governante”, molto austriaca. E quella secondo me, perdonami se lo dico, è la maniera più scontata. Le metti un vestito severo, le tiri i capelli e vai. Io non credo, anzi sono sicura che Guglielmo Ferro non voglia questo e ho parlato tanto con lui per arrivare a dare la mia anima al personaggio. Per me è un personaggio scomodo in se stesso. Se agisce male sta agendo male in primis con se stessa, contro i suoi principi. Lei fa le cose seriamente, ha questo neo che vorrebbe tagliar via, però la natura è la natura».

Dare quest’anima alla Governante è anche una risposta che si può dare al mondo benpensante? «Certo. Secondo me quella è l’ignoranza più profonda, e il pericolo più profondo, per tutti: non capire, non compatire. Compassione nel senso più profondo: entrare in empatia con qualcuno, vedere gli altri, mentre noi oggi vediamo sempre noi. Io, io, io. Invece siamo una comunità di persone, perché non ci diamo una mano? In questo devo dire che il teatro è molto speciale perché è fatto di persone che fanno questo lavoro con amore, e ci mettono tanto. Il teatro è duro, è un’arte che sta in piedi solo per l’amore che ci si mette. La compagnia di Enrico Guarneri, ad esempio: lo vedo che hanno amore, passione, umanità. Credo che siamo in questo momento storico in un mondo in grande conflitto perché stiamo andando avanti con le tecnologie e sta cambiano il mondo. Il web è una scatola nera, sui social c’è ignoranza, cattiveria, gente che si nasconde. E in questo momento transitorio la scintilla resta nel teatro, e lo mantiene in vita. Sennò saremmo tutti davanti alla playstation».

Sul palco, c’è anche sua figlia Naike. Cosa porta questo doppio ruolo di madre e collega? «Siamo in un’età in cui Naike ed io siamo veramente molto amiche, anche perché l’ho avuta molto presto: sono cresciuta anche io con lei. Quando la vedo lì sono felice, mi diverte, mi piace lavorarci. Dietro le quinte sono molto più tesa, concentrata, non posso essere la mamma che sta a casa. E lì è più lei che dà a me. Capisci?»COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA