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L’ALTRA CITTÀ CHE NON VEDIAMO

L’ALTRA CITTÀ CHE NON VEDIAMO

Di Carmen Greco |

Immagini come tante. Come quelle quotidiane dei barconi affondati, delle bare allineate, delle richieste d’aiuto sistematicamente disattese. Anche il dormitorio di corso Sicilia è – e resterà – un’immagine. La mente ci abitua a non vedere le cose. È facile argomentare che l’Europa si deve muovere, che in Italia deve entrare solo chi ha un permesso di lavoro e che non possiamo continuare (solo noi) a salvare da morte sicura i disperati sui barconi. Si può parlare di tutto e dare spiegazioni più o meno dotte, più o meno ragionate, ma le foto di corso Sicilia ci riportano all’immediatezza di una realtà che va guardata e affrontata. Soprattutto dagli amministratori pubblici. «Ma lei c’avissi fattu? C’avi ’u pani a casa e non ciu duna? ». Nella risposta di un’anziana di Lampedusa a un giornalista, c’è tutta la praticità di chi deve risolvere un problema semplice. Dare da mangiare a chi ha fame. Forse tra qualche settimana Yamil e i suoi compagni di sventura dormiranno sotto altri portici, racconteranno ad altri le loro disgrazie, continueranno ad essere i fantasmi notturni di città che non li vogliono vedere nemmeno di giorno. Non si può pensare di risolvere la questione come un problema di ordine   pubblico. Sgombero, e chi si è visto si è visto. Una città generosa non può dare risposte feroci perché ha paura. Una città generosa si sforza di intervenire anche se “costretta”, per qualche tempo, a guardare corpi allineati che dormono sui cartoni, davanti agli ingressi delle banche. Una città generosa, questa città, non può commuoversi solo quando quei corpi sono chiusi dentro delle bare.

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