Contenuto riservato ai membri
Il giacimento Eni
Gas, caccia grossa nel mare di Sicilia, tra Gela e Licata il serbatoio d’Italia
La produzione a regime di Argo Cassiopea prevista a fine anno, riserve stimate in circa 10 miliardi di metri cubi di risorsa in un arco temporale di almeno 15 anni
Eni ha annunciato a metà agosto di aver iniziato a estrarre gas naturale da Argo Cassiopea, il più grande giacimento off-shore mai prima d’ora scoperto in Italia, 22 chilometri al largo della costa siciliana tra Gela e Licata. La produzione a pieno regime dovrebbe maturare entro la fine dell’anno, ma sulla durata della sua vita non ci sono ancora certezze, come è naturale che sia. Si stima che l’orizzonte temporale sia tra i 10 e i 15 anni. Interpellato dal nostro giornale a questo proposito, l’Eni spiega in una nota che «le riserve di Argo Cassiopea sono stimate in circa 10 miliardi di metri cubi di gas da valorizzare in un arco di tempo non prestabilito, né dettato dalla semplice associazione tra produzione di picco attesa e riserve stimate. La coltivazione di un giacimento di idrocarburi – aggiunge l’Eni – è caratterizzata da diverse fasi che possono avere durata variabile in considerazione di molteplici fattori caratteristici del giacimento e del sistema produttivo».
Con un investimento di oltre 800 milioni di euro e alcune migliaia di posti di lavoro, indotto compreso, il giacimento ha generato, come era comprensibile dopo un’attesa di 18 anni (come riferiamo nell’altro articolo in pagina), molte aspettative. Benché l’inizio dell’avviamento del suo sfruttamento sia cominciata solo da pochi mesi, il giacimento si inserisce nel quadro di scenari energetici e geopolitici a livello nazionale e internazionale che anche a causa della guerra della Russia contro l’Ucraina sono cambiati drasticamente per cui non si potrà fare a meno dall’oggi al domani delle fonti fossili e, soprattutto, del gas.Negli ultimi tre anni, i governi che si sono succeduti, hanno perseguito con sempre maggiore determinazione e convinzione l’obiettivo dell’autonomia energetica, da una parte, implementando le fonti rinnovabili, dall’altro, aumentando la produzione nazionale e ad un tempo diversificando l’approvvigionamento di gas anche per potersi affrancare dalla Russia nel frattempo sanzionata dall’Ue per l’aggressione a Kiev.
Per sostituire il gas proveniente dai giacimenti russi che fino al 2022 rappresentava circa il 40% del fabbisogno nazionale, il nostro Paese ha dovuto acquistare gas naturale liquefatto (GNL), soprattutto da Qatar, Stati Uniti ed Algeria. Ma paga un prezzo molto più elevato rispetto a quello via gasdotto. Aumentare la produzione nazionale (attualmente si aggira intorno al 4%) con la coltivazione dei giacimenti scoperti in Italia consente di limitare i costi di importazione dall’estero (da dove arriva circa il 96% del gas che consumiamo) che sono elevati soprattutto ma non solo per il GNL. Una scelta che risponde alla logica, al risparmio e alla decarbonizzazione dell’economia. «Per Eni il gas naturale – spiega la compagnia in una nota – ha un ruolo centrale per raggiungere l’obiettivo strategico delle zero emissioni nette (scope 1,2,3) al 2050. La combinazione di basse emissioni e alta flessibilità rende il gas naturale la soluzione ponte ideale per sostituire rapidamente le fonti fossili con più alta impronta carbonica e sostenere la transizione verso un sistema energetico basato sulle rinnovabili e, nel lungo termine, anche su fonti completamente nuove come la fusione (nucleare ndr) a confinamento magnetico. In questo contesto – aggiunge la compagnia – si colloca la scelta di Eni di incrementare la quota di produzione di gas naturale. Il progetto Argo Cassiopea – prosegue l’Eni – si inquadra in questa strategia, contribuendo altresì allo sviluppo del territorio e dell’economia locale e valorizzando la produzione di gas nazionale in ottica di sicurezza degli approvvigionamenti».Le prospettive di sviluppo legate al giacimento Argo Cassiopea sono potenzialmente notevoli anche se non siamo ancora a regime. «Sarà il tempo a confermarlo», “avvisa” dice Enrico Gagliano, co-fondatore e portavoce dell’Associazione No Triv.
A parte le stime sulla durata della sua vita, c’è anche il fatto che il giacimento presenta qualche criticità circa tre mesi dopo l’avviamento della sua coltivazione. Fonti interne denunciano problemi agli impianti collegati al giacimento con blocchi nel flusso di gas da mare a terra. «All’inizio erano dovuti alla pulizia delle tubazioni e si è formata una specie di barriera che ha fermato il passaggio del gas», segnala il rappresentante territoriale dei Cobas, Francesco Cacici, che guarda anche al capitolo dell’occupazione, nodo esterno a Eni. «Di lavoro ce n’è tanto: la presenza media in cantiere ha sfiorato le 4mila unità, ma le imprese dell’indotto non hanno assunto i lavoratori con contratti a tempo indeterminato».Infine c’è il capitolo delle prescrizioni ambientali. Quando nel settembre 2022 il Comune di Gela ha autorizzato la fase 2 del progetto ha indicato a Eni una serie di interventi di risanamento e salvaguardia ambientale per favorire il ripopolamento ittico e la rigenerazione delle praterie marine, accogliendo le indicazioni del direttore della riserva naturale del Biviere, Emilio Giudice. Il 17 ottobre si è svolto un incontro del tavolo tecnico finalizzato all’attuazione delle misure per il risanamento. «Fino a questo momento – dice – l’azienda ha previsto unicamente compensazioni economiche ma non ha mai indicato quelle ambientali».