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Catania e le ambizioni da narcos del boss cappelloto

Ricostruito l'ingente traffico di cocaina che vedeva in "campo" la mafia etnea

Di Laura Distefano |

Intercettazione dopo intercettazione e precisamente seguendo il “mediatore dei cavalli di ritorno” Massimo Ferrera i carabinieri sono arrivati a ricostruire un ingente traffico di cocaina che aveva come protagonista il cappelloto Salvatore Giuffrida.

Trentamila euro al mese dalle piazze di spaccio

Alla fine dei conti il boss si sarebbe trasformato in un provetto narcotrafficante di cocaina, con vendite di partite di droga al dettaglio che fruttavano 1.000 euro al giorno per ciascuna piazza. All’ingrosso di polvere bianca invece la vendita è stata stimata dagli investigatori in 42 mila euro al chilo. Ferrante inoltre avrebbe lavorato in una delle “piazze” localizzate dai carabinieri. In totale sono state tre le zone individuate dai carabinieri una a Librino (viale Biagio Pecorino 16), una a San Giorgio (stradale Cravone 135 poi spostato in Via delle Gemme) e infine una fuori città precisamente a Nicolosi. Ma i contatti sarebbero arrivati fino a Siracusa, Trapani e Palermo.

Turi ‘u gommista

Lo scacchiere vede nel ruolo di “re” Turi ‘u gommista Giuffrida, a cui però la Procura affida anche la mansione di pusher e custode in relazione alla “piazza” di Librino dove si smerciava dalle 14 alle 20. A San Giorgio la guida sarebbe stata affidata a Gaetano Condorelli. Anche qui i turni erano dalle 2 del pomeriggio alle 8 di sera. La base logistica sarebbe stata all’interno dell’autonoleggio. Ferrera entra in gioco quale “cassiere e addetto al confezionamento” della piazza gestita da Giuffrida.

La concorrenza nella vendita della cocaina è senza esclusione di colpi. E l’indagine a un certo punto si incrocia con un’altra poderosa inchiesta dei carabinieri. E cioè il blitz “Skanderbeg” che nel 2020 coinvolte ben 101 indagati e riuscì a far chiudere bottega ai più potenti venditori di droga di via Capo Passero legati ai Nizza. Giuffrida, nel mese di ottobre 2020, è molto nervoso. Arriva a definire Domenico Querulo «un pezzo di merda», visto che come gli avrebbe riferito Salvatore Cambria (detto Cafè) sarebbe andato a comprare la sostanza stupefacente «a San Giovanni Galermo al prezzo di 41.000 euro, a fronte dei 42.000 euro richiesti dal narcotrafficante finito ieri dietro le sbarre. Giuffrida «si lamenta di questo voltafaccia per l’esigua somma di 1.000 euro al chilogrammo». Dalle intercettazioni si comprende chiaramente che il «gommista» sarebbe stato disposto a trovare un «accordo». Per ripicca allora Giuffrida avrebbe proposto a Turi Cafè un «prezzo di favore» per l’acquisto della cocaina.

L’autonoleggio base del clan

I carabinieri monitorano l’autonoleggio dove avvengono riunioni e anche incontri per le trattative della droga. In particolare – sempre nell’autunno di tre anni fa – i carabinieri registrano l’appuntamento tra Agatino Abate e il capo-piazza. Per chi ascolta è difficile capire cosa i due si dicono. Gli indagati infatti parlano con voce bassissima. Ma in alcuni tratti il tono si alza e così si capisce che Giuffrida avrebbe a «disposizione un ingente quantitativo di sostanza stupefacente e di aver necessità di procedere alla sua vendita». Il cappelloto avrebbe avuto così fretta di disfarsene tanto da praticare uno sconto bello sostanzioso: «Offre all’interlocutore la sostanza stupefacente al prezzo di 40.500 euro al chilogrammo».

E per concludere l’affare avrebbe incoraggiato Abate «a dire ai suoi clienti (palermitani) che i “malandrini catanesi” la stavano vendendo a 42.000 euro, potendo così fissare loro il prezzo a 43.000 euro». Il potenziale cliente però prende tempo, dicendo a Giuffrida di avere «qualche difficoltà nel reperire un mezzo per il trasporto e un corriere». E inoltre evidenzia «che le condizioni meteo erano avverse e che a Palermo le strade erano allagate e il carico avrebbe potuto bagnarsi». Quando Abate lascia l’autonoleggio Giuffrida confida al suo braccio destro Condorelli di «avere la disponibilità di 5 chilogrammi di cocaina e che sarebbe stata sua intenzione distribuire due chilogrammi ad Abate, 2 chilogrammi a Turi Cafè, mezzo chilogrammo al “siracusano” (Dario Rustico) e mezzo chilogrammo lo avrebbe tenuto per sé». L’ingente acquisto – con un costo di 39.500 euro al chilogrammo, – sarebbe stato collegato a un blitz che ha «bloccato lo spaccio nelle piazze gestite dal suo fornitore, le quali avevano un giro d ’affari di 10 chilogrammi a settimana». Per i carabinieri altro non era che l’operazione “Skanderbeg” del 23 novembre 2020.

La piazza di Nicolosi

La terza piazza di spaccio sarebbe stata creata a Nicolosi, alle falde dell’Etna. Alle vette i carabinieri posizionano Agatino Russo (classe 1995), in cui avrebbero operato Russo (classe 1973), Simona Spaticchia, Carmen Nicosia e Concetto Fontanarossa. Nicosia a un certo punto suggerisce di trasformare la piazza in un take away della droga h24. Consiglio che fa incrementare le forniture. E quindi fa gonfiare le tasce di Giuffria. la gestione della piazza di Nicolosi è di tipo familiare. «L ’attività vedeva impegnati – anno la giè – i due cugini Russo ed i coniugi Nicosoa Sebastiano –Staticchia e Fontanarossa – Nicosia, tra di loro cognati». Nonostante non ha ancora compiuto nemmeno 30 anni, il giovane Russo – che era ai domiciliari ai tempi dell’indagine – avrebbe già avuto il “pelo” del criminale. Pronto a «sanzionare chi fosse stato scorretto».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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