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Incendio aeroporto Catania, la scintilla su un sistema inefficiente nel complesso

La scintilla malefica, che non si sa ancora da cosa sia scaturita, ha soprattutto reso in tutta la sua drammatica plasticità la dipendenza della Sicilia dal trasporto aereo, in uno con la cronica inadeguatezza delle rete autostradale e ferroviari

Di Redazione |

La scintilla partita da un quadro elettrico o da un condizionatore sotto stress o chissà da dove e perché – infine lo sapremo – oltre all’incendio che ha danneggiato parte del Terminal A dell’aeroporto di Fontanarossa, ha mandato al rogo la pazienza di migliaia di viaggiatori, sballottati da un capo all’altro della Sicilia e spesso senza indicazioni certe, acceso la miccia della fragilità del sistema infrastrutturale nel suo complesso, provocato focolai di polemiche alimentati dalla dialettica politica e da rancori personali, ma anche aperto uno squarcio profondo sulla incapacità di fare squadra secondo i principi almeno della solidarietà.Ha poi evidenziato un tipo di strategia che non ci vede secondi a nessuno: procedere a tentoni. Così magari rispolveriamo Sigonella, memori delle tante emergenze passate legate alla pioggia di cenere dell’Etna che finisce sulla città, ma dimenticando che in tali occasioni è la pista di Fontanarossa ad essere inagibile e non l’aerostazione e che quindi si tratta di condizioni assolutamente diverse. Dettagli.

La scintilla malefica ha soprattutto reso in tutta la sua drammatica plasticità la dipendenza della Sicilia dal trasporto aereo, in uno con la cronica inadeguatezza delle rete autostradale e ferroviaria. Questa stessa scintilla ci ha fatto sentire davvero isola, quasi la Sicilia fosse un barchino in balia dei marosi.Siamo oltre la questione dell’insularità, pur grave. Le odissee raccontate su queste colonne e sui social da migliaia di passeggeri inviperiti non sono soltanto sfoghi (a volte maldestri, ma ci sta se non trovi l’assistenza promessa e se le compagnie aeree pensano soltanto a fare business sulle rotte più trafficate) ma anche e soprattutto la cartina tornasole del tempo che si perde per assumere le decisioni che invece si devono prendere.Chi si ricorda, per esempio, del calendario dettato dall’allora ministro Delrio sul ripristino del “vecchio” terminal Morandi in previsione di una crescita esponenziale dello scalo etneo? Già nel 2016 si lamentavano ritardi e sembrava urgente aprirla a fronte di un traffico di “appena” 7 milioni di passeggeri annui. Oggi, vivaddio, Fontanarossa viaggia oltre i 10 milioni di viaggiatori, ma la vecchia aerostazione è ancora lì com’era, triste monumento alla stagione del Covid, quando venne usata per i tamponi a chi era in transito.Chi si ricorda della necessità di metter mano al riordino delle società di gestione degli aeroporti siciliani per evitare frammentazioni e il “derby del disagio” (cit.) tra Catania e Palermo? A onor del vero lo ha fatto venerdì il ministro Nello Musumeci, ma chi è disposto a scommettere un euro che la politica siciliana ne parlerà fattivamente ad emergenza finita, dicendo un sì o un no in maniera chiara e assumendosene le responsabilità? Chi remora e perché sulla privatizzazione di Fontanarossa, di cui si vagheggia a strappi da dieci anni? E che dire dei cantieri sulla Palermo-Catania, dei trasporti ferroviari almeno sulla media percorrenza che potrebbero essere migliorabili a costo zero anche senza il sogno dell’alta velocità?Ci sarebbe, se per questo, da dire pure delle riserve ideologiche ammantate di timori ingegneristici sul Ponte sullo Stretto ma qui – al di là delle accelerazioni del ministro Salvini, sempre attese dalla prova della verità subito dopo le Europee del prossimo maggio – siamo oltre l’onanismo mentale per avvicinarci, piuttosto, all’autosodomia dipinta da Salvador Dalì.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA