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l'intervento

L’antimafia dei fatti

Il disorientamento dell’opinione pubblica che ama e ricorda i suoi Eroi per la legalità e che oggi assiste stupita al divaricarsi di iniziative, prese di posizione, opinioni,

Di Roberto Lagalla* |

Il caldo soffocante di questi giorni rischia di offuscare il pensiero ma, di certo, non ha difficoltà a rinfocolare carboni ardenti, quegli stessi che probabilmente covavano sotto la cenere e che appaiono essersi riaccesi con veemenza nelle stanze del dibattito sull’antimafia.

In una giornata come quella di oggi, da oltre trent’anni dedicata alla memoria di tragici momenti e alla rilettura di una stagione scellerata per il nostro Paese, non posso che riferirmi alle spaccature che, al di là di ogni buon proposito, si manifestano nel corpo vivo del fronte antimafia.

Intanto, plaudo a quei magistrati, per fortuna tanti, che, incuranti delle guerre di posizione e delle fughe in avanti, continuano a svolgere il proprio quotidiano e difficile lavoro, affidando solo agli atti giudiziari, nonché alle opportune azioni di polizia, il contrasto alla mafia e l’individuazione di soggetti responsabili o sospetti, siano essi provenienti dalle file della manovalanza malavitosa, siano colletti bianchi apparentemente immacolati, ma invero più che in odor di mafia.

Molto meno plaudo a quanti, dietro la protezione di sigle rassicuranti o in esito a carriere che avrebbero dovuto suggerire ed educare al valore sociale del giudizio, fanno a gara per distribuire, da un lato, patenti di incorruttibilità e sicura legalità e, dall’altro, ssscensure e conventio ad excludendum che, in alcun modo, affondano le proprie motivazioni in fatti oggettivi, assistiti da fumus boni iuris o da documentate evidenze.

Era forse inevitabile, e Leonardo Sciascia lo aveva predetto con lungimirante anticipo, che, prima o poi, si sarebbe specializzata una categoria sociale opportunistica e livorosa che, in forza di una propria presunta superiorità morale, si ergesse a censore e dispensatore di sterili commende e di perpetue dannazioni. Altrettanto inevitabile era la previsione che una tale pretesa non avrebbe mai potuto saziare i più ambiziosi candidati del circolo al primato della bravura, dell’intransigenza, della purezza.

Il rischio

Da tutto ciò, emerge un rischio: il disorientamento dell’opinione pubblica che ama e ricorda i suoi Eroi per la legalità e che oggi assiste stupita al divaricarsi di iniziative, prese di posizione, opinioni, talvolta anche al di là di consolidati esiti processuali e della verità inoppugnabile dei fatti.

Ho molto apprezzato il responsabile e recente intervento del Presidente del Tribunale di Palermo, Piergiorgio Morosini, e l’azione di quanti hanno voluto richiamare alla dimensione di un’antimafia basata sui fatti, sul contributo concreto al bene comune, indipendentemente da posizioni politiche, pregiudizi personali o di gruppo, ostracismi di ogni tipo. Né si possono immaginare condanne senza possibili redenzioni, errori senza correzioni, sbagli senza riparazioni.Il giustizialismo e la riproposizione della cultura del sospetto avvelenano la società e, quando arrivano e lambiscono le istituzioni, ne corrodono le basi e ne minano la credibilità. Occorre, anche e soprattutto in politica e nelle istituzioni, recuperare la cifra della valutazione oggettiva dei fatti e dei risultati, della qualità e della trasparenza dei comportamenti pubblici. In una parola, si chiede a tutti uno sforzo personale e collettivo, rivolto ad emulare nel quotidiano lavoro la preziosa testimonianza proveniente da quegli Eroi che, senza sovrastrutture né pregiudizi, hanno operato nelle e per le istituzioni, perché la società potesse crescere e divenire migliore, estirpando cancri e gangrenosi reliquati del passato.

Rispettare la memoria, alimentare l’esempio dei migliori, impegnarsi lealmente per le istituzioni sono le principali condizioni di un’antimafia popolare e sincera, inclusiva e pedagogica, attuale e proiettata al futuro, capace di divenire volano di sempre più diffusi e condivisi comportamenti virtuosi. Oggi, 19 luglio, commemoriamo, con commozione e rimpianto, la tragica uccisione mafiosa di Paolo Borsellino e della sua scorta: un doloroso ricordo, una memoria ancora viva, un’auspicabile occasione per sostituire alla discordia delle raffigurazioni l’unità degli intenti e l’ispirazione del nostro vivere comune.

*Sindaco di PalermoCOPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA