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Quando Sciascia scrisse per La Sicilia sulle «tentazioni» di Bufalino»

Di Leonardo Sciascia |

La firma di Leonardo Sciascia ha impreziosito le pagine de “La Sicilia” con numerosi articoli, scritti a cavallo degli anni Ottanta. Nel trentennale della sua scomparsa ne abbiamo scelto uno, che rimanda a un altro grande siciliano, Gesualdo Bufalino, al quale Leonardo Sciascia era legato da sincera amicizia oltre che da assonanza di valori. Si tratta della recensione che Sciascia fece del romanzo “Le menzogne della notte” dello scrittore comisano. Qui di seguito ecco il testo da noi pubblicato il 24 aprile 1988.

Con questo suo nuovo libro – “Le menzogne della notte” – Gesualdo Bufalino inaugura, in margine, un piccolo genere letterario: quello della presentazione editoriale (quarta di copertina o risvolto di sovracoperta) scritta con gusto del paradosso, con spirito, con brio; ma che sottende, per dritto o per rovescio, chiavi di lettura, segnali, richiami, provocazioni. E in ciò consiste la novità: poiché è già invalso l’uso che un autore scriva da sé quello che dovrebbe essere l’imbonimento editoriale (io ho sempre lasciato che lo facesse davvero l’editore, e quando me lo son fatto da me l’ho firmato), mai mi era capitato di leggerne che fossero come di una postfazione in cui, equilibrandosi sapientemente autocritica, riflessione e scherzo, il lettore si senta subito convitato a un gioco di intelligenza attiva.

E verrebbe voglia di trascriverla tutta; ma qui ed ora, scegliendo un solo punto di vista tra i tanti che il libro consente, mi fermo a considerare quello che l’autore dice dei «soprasensi» e che, per uno scrittore come Bufalino, vale come una confessione: «Benché tentato dal più eburneo “inattualismo”, l’autore non esclude che, a sua saputa o insaputa, taluna emozione pubblica o metafora dell’odierno o parabola possa essersi insinuata tra le sue fiabe».

E possiamo senz’altro dire che vi si è insinuata: saputamente, saputissimamente, né Bufalino è scrittore da farsi insaputamente sorprendere da inattualità o attualità. E altro se l’attualità, l’emozione pubblica, le vicende della cronaca italiana di quest’anni, l’hanno tentato e saputamente se ne è difeso: a tal punto che possiamo dire che senza la memoria vicina del terrorismo, dei suoi misteri e degli altri misteri italiani di questi nostri anni, il libro non sarebbe.

E se ne è naturalmente difeso, per come è nella sua natura di scrittore, trasportandosi felicemente, per come è nella sua felicità di scrittore, ad un’epoca più remota: in ciò arricchendogli la memoria lontana di quella stupenda narrazione di Raffaele De Cesare della fine del regno borbonico. Ma non soltanto del libro di De Cesare: più di quanto sembri, cioè più di quanto voglia sembrare, il libro è intriso di conoscenza storica.

E il mirabile effetto ne è quello che tanta sottile «inattualità» si rovescia in un’altrettanto sottile «attualità»: sicché trova una ragione l’assortimento per cui il libro di Bufalino ci è avvenuto di leggerlo subito dopo “La troga” di Giampaolo Rugarli.

Anche “Le menzogne della notte” è una “troga”. Ingarbugliata cospirazione, menzogna, equivoco, pasticciaccio; una “troga” di quasi centocinquant’anni fa, ma con quel presentimento di fine, di apocalisse, che dalla storia travalica nell’esistenza, nel destino umano. Concitatamente, con urgenza, con disperazione, nel libro di Rugarli; con acutissimo ma sereno gioco, come su una scacchiera, in quello di Bufalino.

Libri di diversissima scrittura; tersa, come in sé specchiata, consustanziata di “classico”, quella di Bufalino; corrugata e corrusca quella di Rugarli. Ma che questi due libri si trovino accosto nella vetrina delle novità, non è senza significato. E vi si assortiscono anche le considerazioni di Kundera sull’arte del romanzo: aureo libretto che contemporaneamente arriva in libreria.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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