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L’intervista

Sollima: «La musica può salvare». Il violoncellista domani a Catania e giovedì a Noto, il 3 l’oratorio “Istoria di Sant’Agata” di Filippo Arriva per il Bellini

“Roots/Radici” coinvolge otto giovani violoncellisti di Santa Cecilia

Di Monica Cartia |

“Roots/Radici” è un progetto che vede protagonisti Giovanni Sollima insieme a otto giovani violoncellisti di Santa Cecilia (tra loro anche due elementi che hanno iniziato il loro percorso all’interno dell’orchestra catanese MusicaInsieme a Librino). La formazione G + 8 Cello Power suonerà mercoledì nella chiesa di San Nicolò l’Arena di Catania per Catania Summer Festival e giovedì nel cortile dell’ex Collegio dei Gesuiti, a chiusura del cartellone del Festival Internazionale “NotoMusica”. Sempre il 3 ma a Catania, al Palazzo della cultura, andrà in scena “Istoria di Sant’Agata’, con musiche di Sollima su libretto dello scrittore e giornalista Filippo Arriva, nel cartellone Bellezza Belcanto Bellini.

Il violoncellista Giovanni Sollima ci parla del progetto, di radici e del potere della musica.Ha suonato ovunque però cosa si prova a suonare a casa?«A casa c’è un rapporto speciale, anche controverso. Il rapporto è con gli affetti, con la gente che ha segnato la tua infanzia, adolescenza, con i fantasmi di ogni genere però è un rapporto emotivamente molto forte. È sicuramente diverso dal suonare in ogni altra parte del mondo».Lei vive spesso fuori dall’isola, ne sente la mancanza?«Quando si è fuori la si percepisce ancora di più. Ho vissuto buona parte della mia vita all’estero e in realtà questa distanza mi fa sentire ancora più forte anche gli odori. È una terra che idealizzi, anche. Ogni volta è una sorpresa ».“Roots/Radici”, guarda alla tradizione occidentale ma anche alla musica popolare. Com’è nato questo progetto?«Le radici le si cercano ancora di più quando si vive la distanza. La stessa parola è qualcosa di ancestrale, di arcaico, di ignoto. Questo progetto nasce con delle radici miste e con dei ragazzi che sono delle eccellenze provenienti da un segmento che abbraccia il centrosud».Un confronto generazionale a tutti gli effetti.«In realtà c’è un confronto, uno scambio produttivo. In musica non c’è differenza generazionale. Gli strumenti di legno parlano la stessa lingua, forse in passato c’erano più gerarchie. Oggi non funzionerebbero. L’ensemble crea una configurazione sonora abbastanza carnale ma anche onirica. Il violoncello è uno strumento antico che può parlare tutte le lingue ed è modernissimo al tempo stesso quindi le radici le può andare a scavare, a ritrovare e a reinterpretare. Le radici sono legate al nostro strumento, alla nostra storia e anche alle nostre terre perché in realtà non c’è solo la Sicilia».È riuscito ad affascinare – grazie alla sua ricerca e sperimentazione musicale – anche giovani ascoltatori che non necessariamente amano la musica classica.«Il violoncello è una sorta di sex symbol anche nel cinema, ha un appeal particolare, copre quasi tutto il corpo, ci respiri, ci sudi addosso. È uno strumento che di dà l’idea del viaggio, come un mezzo da dominare. Ha una voce potente e mi è sempre piaciuto esplorarlo».Quale repertorio proporrete?«Ha un range abbastanza vasto, parla più linguaggi. La Sicilia è terra di stratificazioni, ci mancano solo i Maya e la musica lo racconta. Assieme ai brani legati alla musica popolare e tradizionale, anche composizioni di Komitas, Purcell, Boccherini, Valentini, Van Westerhout, Gismonti, Morelenbaum».La musica ha ancora oggi un valore sociale, salvifico?«Noi da siciliani lo sappiamo. Molte band si sono dedicate alla musica di impegno. La musica ha anche accompagnato cortei, rivoluzioni; può anche salvare perché se in periferia a un bambino togli la pistola giocattolo e gli metti in mano un violino o un clarinetto, accade il miracolo».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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