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Verso le amministrative tra “inciuci” e coalizioni “Frankenstein”

Di Mario Barresi |

Catania. Sin troppo scontato, anche nella fantasmagorica città di Rosario Crocetta, chiamarlo il “Nazarenino” siculo. Ormai c’è stata la consacrazione anche sui giornali nazionali: a Gela il Pd e Forza Italia (o una parte di essa) vanno a braccetto sostenendo un candidato sindaco, l’ex alfaniano Lucio Greco, per sperimentare la resistenza contro Lega e M5S. Ma, nella campagna elettorale delle Amministrative in Sicilia (34 comuni alle urne il 28 aprile) c’è un vasto campionario di accordi all’insegna del “famolo strano”.

Partiamo appunto da Gela. Città che ha rottamato il rottamatore del crocettismo. L’ex grillino, quasi subito epurato, Mimmo Messinese è stato sfiduciato, aprendo le porte a una contesa elettorale sentita come non mai. Qui la Lega ha bruciato tutti sul tempo: Giuseppe Spada è il candidato salviniano, sostenuto (con qualche mal di pancia dello storico circolo del Carroccio, in contrasto col nuovo corso in Sicilia) anche da Fratelli d’Italia, dai centristi e dalla parte forzista che fa capo a Pino Federico, ex presidente della Provincia, ex lombardiano ed ex deputato. Ma il coordinatore provinciale di Fi, Michele Mancuso, s’è schierato con Greco. Che, da civico vicino a Ncd, fu già in lizza nel 2015. Sconfitto al primo turno, appoggiò il cavallo vincente al ballottaggio: fece epoca una sua foto di endorsement a Messinese. «Saremo la sesta stella», disse l’avvocato, molto stimato in città. Che adesso dei grillini, che mettono in campo il consigliere “doc” Simone Morgana, è avversario. Col sostegno del Pd, a partire dall’emergente Peppe Di Cristina (segretario provinciale in pectore), allevato nel vivaio del sempre influente Lillo Speziale. E dunque la particolarità gelese, al netto delle precisazioni di chi dice che «Forza Italia sta al 70% col candidato della Lega», è tutta nella matrice dei dem che sostengono l’accordo: sono tutti in prima linea con Nicola Zingaretti. La sinistra, invece, va con l’imprenditore Maurizio Melfa.

Il caso inedito arriva dal Catanese. Con uno scambio di amorosi sensi fra Lega e turborenziani del Pd sull’asse Motta-Aci Castello. Nella città dell’hinterland, nota anche per la battaglia contro la discarica di Oikos, è forte la ricandidatura dell’uscente Anastasio Carrà. Più che mai riabilitato, dopo qualche turbolenza, dal new deal del Carroccio: è stato nominato responsabile etneo degli enti locali, col placet del commissario regionale Stefano Candiani e del suo braccio destro Fabio Cantarella. Carrà, per essere rieletto con un plebiscito, sta facendo di tutto. Compreso un patto col diavolo: Luca Sammartino, deputato regionale e uomo fortissimo dei dem di culto renziano. A Motta, dove il circolo del Pd ha chiuso, è prevista una transumanza degli uomini di “Mr. 32mila preferenze” nella lista di Carrà. «Non a caso il sindaco, su esplicita richiesta di Sammartino, rinuncerà al simbolo della Lega, con un logo che richiama vagamente Noi con Salvini, giusto per non farla troppo sporca», denuncia Danilo Festa, in trincea contro la discarica, candidato della sinistra che sta cercando di compattare civismo e professionisti. L’ingresso più pesante potrebbe essere quello di Gaetano Vitale, consigliere sammartiniano acchiappavoti, che andrebbe nella civica di Carrà e non nella lista teoricamente più vicina al Pd: quella a sostegno di Natale Consoli (ex Mpa, ex Udc, ex Mir, ora in servizio nella segreteria del giovane leader renziano etneo), oggetto di quello che Festa definisce «uno svuotamento scientifico e progressivo». Magari, per strategia, non fino al ritiro di una candidatura che potrebbe comunque avvantaggiare Carrà. E in cambio Sammartino cosa ottiene? Molto più di una “desistenza” da parte dei leghisti vicini a Carrà (e non solo), che ad Aci Castello, comune dove l’uscente Filippo Drago, burrascosamente cacciato dal Carroccio, non può più ricandidarsi. E allora, nel caos civico, il candidato smaccatamente sammartiniano Carmelo Scadurra (ex An) avrà il sostegno, oltre che di cinque liste senza simboli di partito, anche della Lega con la “griffe” ufficiale. Diventando di fatto il favorito, tant’è che la candidata ufficiale del centrodestra, Ezia Carbone, voluta da Salvo Pogliese, rischia di perdere pure il sostegno di Fratelli d’Italia.

E poi c’è Bagheria. Altro caso di scuola. Sotto i riflettori perché il protagonista è l’aspirante candidato Filippo Tripoli, fra i 96 indagati dell’inchiesta per voto di scambio dei pm di Termini Imerese – è un pupillo di Totò Cuffaro e Saverio Romano, ora sostenuto da buona parte dei dem anche di nuovo rito zingarettiano. Non a caso i coordinatori siciliano e palermitano di Mdp, Pippo Zappulla e Mariella Maggio, scuotono i “cugini” del Pd, chiedendo di «uscire allo scoperto», bloccando il sostegno al «candidato cuffariano». Un accorato appello lanciato ai big regionali Peppino Lupo e Antonello Cracolici. A Bagheria, Tripoli incarna quello che è stato definito «un fronte civico e democratico contro estremismi e populismi». Ovvero, nella città di Tornatore amministrata dal M5S, un candidato unitario contro i grillini, che lanciano in pista Romina Aiello, assessora della giunta di Patrizio Cinque. Uscente e non ricandidabile – a norma di bibbia pentastellata – perché “impresentabile”, in quanto sotto processo per per irregolarità negli appalti dei rifiuti e abusi edilizi. «Non è un sindaco del movimento», disse Luigi Di Maio dopo il rinvio a giudizio. Ma lo stesso capo politico ha da poco sdoganato il primo embrionale esperimento del new deal anti-isolazionismo: il M5S aperto, nei campetti comunali, a nuove alleanze civiche. «A partire da Caltanissetta e Gela», ammette il leader siciliano Giancarlo Cancelleri, molto attento ai suoi feudi nisseni. Ma lo stress test, sostengono in molti, potrebbe materializzarsi anche nella Bagheria del “rinnegato” Cinque. Sempre utile – magari con una lista “fai-da-te” – alla causa che sembra monopolizzare l’interesse dei grillini in questa tornata: non perdere il fortino alle porte di Palermo. Il resto sarà tutto di guadagnato.

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