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SICILIA SECONDO ME

Giovanni Caccamo: “La nostra grande bellezza: i luoghi e il tempo lento”

Il cantautore modicano: «Cambierei l’assuefazione a ciò che ci circonda e spesso non vediamo. Chiederei rispetto e tutela per il patrimonio artistico»

Di Franca Antoci |

«Un amore senza confini». E’ la sensazione che la Sicilia muove d’impatto il rapporto tra la Sicilia e Giovanni Caccamo, cantautore modicano, autore di testi e artista nel pieno senso del termine innamorato del suo lavoro e della sua terra. Ieri mattina a Fiesole per un concerto, Giovanni si presta volentieri a raccontarsi e a raccontare il suo rapporto con l’Isola, l’Itaca in cui progetta di tornare: «Sì, a tal punto che a giugno ho comprato una casa in campagna a Frigintini, vicino casa di mio nonno. Tutte le volte che torno giù, andare in campagna è un toccasana, è come se il mio corpo percepisse la sua culla e mi sento al posto giusto». Eppure è un posto che hai dovuto o voluto lasciare? «Il motivo per cui sono andato via è lo stesso che il tempo mi ha fatto apprezzare. E’ il valore della lentezza. Quella lentezza che mi ha fatto scappare giovanissimo perché l’adolescenza è un moto perenne. E Milano mi ha dato la velocità che mi mancava. Mi sono bastati pochi mesi per chiedermi “ma dove corrono tutti?” e scoprire che il moto perpetuo trova il giusto equilibrio nella via di mezzo. La lentezza della mia terra consente di respirare, contemplare mentre il moto nell’efficienza milanese ti apre al mondo del lavoro. Anche se l’occasione più preziosa della mia vita è stata a Donnalucata quando ho incontrato Franco Battiato». Il contatto con Battiato sembri non averlo mai perso. «E’ il mio mentore. Una presenza costante nella mia vita artistica e personale. Ne porto dentro uno straordinario ricordo intensificato dagli incontri frequenti che abbiamo avuto fino a poche settimane prima della sua morte». Come Andrea Camilleri, siciliano doc e musa del tuo ultimo album e del tuo progetto “Parola ai giovani”, entrambi frutto delle tue radici. «Vero. Esattamente un anno fa ieri, ho presentato “Parola”, ispirato da un discorso di Camilleri: Stiamo perdendo la misura, il peso, il valore della parola. Le parole sono pietre».   Giovanni Caccamo ha trasformato il valore della parola in un album concettuale che alterna spoken-word di Willem Dafoe, Jesse Paris, Patti Smith, Liliana Segre, Aleida Guevara, Michele Placido, Beppe Fiorello e canzoni. Ogni canzone è ispirata al testo che la precede.  Hai messo insieme un parterre umano straordinario, magari meritevole di un palcoscenico più ampio come molte delle pietre rare del tuo percorso artistico. «Il mio è un cammino lento che si è naturalmente allontanato dalla musica commerciale. Io credo che molte di queste collaborazioni preziose accadano grazie alla lentezza: è come se mi muovessi in un percorso parallelo, un ibrido tra musica, arte e cultura specchio di ciò che amo e mi appassiona. Dopo la pubblicazione dell’album cresceva in me la consapevolezza che per far partire un umanesimo della parola non fosse sufficiente la mia risposta all’appello di Camilleri, ma servisse la risposta dei giovani. Da qui nasce “Parola ai giovani”, un viaggio nelle università italiane per dare voce ai ragazzi e creare un manifesto sull’#cambiamento. Partner dei simposi sono stati Banca Ifis, spalla economica di upgrade e start up e il mondo green di Pulsee Energy. La domanda posta è “Cosa cambieresti della società in cui vivi e in che modo?” Questo concorso di idee, in 15 incontri, ha raccolto più di 900 testi».  Un manifesto sul cambiamento, socioculturale, ambientale e spirituale, è tanto attuale quanto complesso e ambizioso. Come gli darai in senso concreto? «Abbiamo selezionato 60 interventi con i quali comporremo il Manifesto che sarà consegnato al Papa e al presidente della Repubblica». C’è un filo rosso che unisce i testi? «Una forte analisi sul dialogo tra tecnologia e uomo, quanto sia stata progresso e quanto non ci abbia allontanato dal nostro essere umani. E i social quali rapporti virtuali che ci hanno fatto sentire meno soli isolandoci. Hanno una loro indiscutibile utilità ma l’utilizzo richiede conoscenza e consapevolezza».  E tu, della tua terra cosa cambieresti? «L’assuefazione. E chiederei rispetto. Diamo per scontata la bellezza che ci circonda e non la salvaguardiamo. Il cambiamento in generale è la cura, estesa al pianeta sia a livello di sostenibilità sia di tutela del patrimonio artistico di cui conosciamo talmente poco da non renderci conto del suo inestimabile e irripetibile valore». Quanto è lontana la Sicilia da Milano? «L’asse Frigintini-Milano è più vicina di quanto si possa credere. In realtà ogni volta che ritorno mi sembra di essere andato via pochi istanti prima, come se uscissi da casa per andare a lavorare e rientrassi proprio in quella casa dove vorrei creare un luogo d’incontro per artisti da condividere per creare opportunità artistiche e musicali. Vorrei restituire quello che ho ricevuto». Non si può dire che il lockdown ti abbia fermato. «No, anzi. L’ho trascorso a Milano e mi sono ritrovato con tantissimo tempo prezioso concesso alla scrittura in cui ho selezionato i 7 testi ispirati a letteratura italiana e straniera, con autori quali Pasolini e Bufalino, e straniera e ne ho scritto altrettante canzoni raccogliendo e musicando i capitoli di “Parola”. Ho scritto anche “Silence song” l’ultimo singolo di Elisa presentato ieri e “You’ll be my heart” sulla musica di Phil Collins interpretato da Andrea Bocelli e Lang Lang».  Se ti affacci alla finestra e da Milano guardi la Sicilia, cosa vedi? «Bellezza, tanta. Sono circondato da amici nordici che rimpiangono la vacanza in Sicilia. I nostri luoghi sono immagini che rimangono appese nella tua stanza itinerante, finestre emotive».

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