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Gela, uxoricida all’ergastolo 31 anni dopo: figlio scoprì la verità

Di Redazione |

ROMA – E’ stato confermato dalla Cassazione l’ergastolo, con l’aggravante di aver agito per motivi abietti, nei confronti di Vincenzo Scudera (61 anni) accusato di aver ucciso, nell’aprile del 1987 a Gela, la moglie Rosaria Palmieri – la coppia all’epoca aveva un figlio di sei anni – al fine di convivere con la cugina della vittima con la quale aveva una relazione e dalla quale nel febbraio 1988 avrebbe avuto un altro figlio. Questo delitto, camuffato per quasi 30 anni da allontanamento volontario, è stato risolto solo a partire dal 2012 per merito di Liborio, il figlio della coppia, che scoprì che il padre non aveva mai denunciato la scomparsa della madre. L’uomo, che come la moglie apparteneva a una famiglia contigua alla mafia, sottolineano gli “ermellini” nel loro verdetto, non «aveva mai formalmente denunciato la scomparsa di Rosaria alle forze dell’ordine, e queste ultime, pur essendo interessate della vicenda dalla madre della donna, non avevano mai svolto significativi accertamenti». E su questa “strana” scomparsa è subito calato l’oblio, rileva la Cassazione – sentenza 12930 depositata oggi – puntando l’indice su chi doveva indagare e non ha indagato, «nonostante le condizioni personali di Rosaria (analfabeta, priva di lavoro e di redditi, priva di patente di guida e finanche di un valido documento di identità, che nulla aveva portato con se) fossero ragionevolmente incompatibili con un allontanamento volontario e autonomo».

Nel settembre del 1987, a quattro mesi dall’uccisione della moglie, Scudera dopo aver raccontato al piccolo figlio che la mamma era fuggita con un altro uomo, aveva subito iniziato «una causa di separazione giudiziale conclusasi nella contumacia della donna con la dichiarazione di addebito per effetto del comportamento di lei, violativo dei doveri coniugali». Scomparsa nel nulla, indegna persino di una parvenza di indagine, Rosaria viene anche condannata per adulterio nel processo civile.  Il punto di svolta arriva nel 2012, quando a 25 anni di distanza dai fatti, Liborio «nell’accingersi ad avviare la procedura per la dichiarazione di morte presunta della madre, si avvedeva della mancata formale denuncia di scomparsa, che contraddiceva le rassicurazioni a suo dire al riguardo ricevute dal padre». «Con l’aiuto della compagna, di professione avvocato a Pesaro, Liborio – racconta il verdetto di questo inquietante “cold case” – segnalava l’accaduto alla polizia giudiziaria».

Finalmente si fecero «nuove e penetranti investigazioni», intercettazioni, vennero ascoltati parenti e testimoni e anche collaboratori di giustizia. Nonostante i «tentativi di depistaggio» attuati da Scudera – che a lungo a goduto della ‘protezionè del clan Riggio di Riesi – emerse che l’allontanamento di Rosaria «era una vera e propria messa in scena, dal chiaro intento giustificatorio». L’uomo voleva “sbarazzarsi della moglie per poter coronare la relazione sentimentale con l’altra donna in atto da tempo» e “‘ufficializzarè la relazione extraconiugale che avrebbe condotto immediatamente alla nascita di un figlio». Per la Cassazione, i giudici di merito di primo e secondo grado di Caltanissetta – nel 2016 e nel 2017 – hanno fatto bene a non concedere l’abbreviato e a ritenere il movente «di natura spregevole e ignobile».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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