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L’infettivologo Cacopardo: «Virus ormai endogeno, circola in famiglia»

Di Giuseppe Bonaccorsi |

Prof. Bruno Cacopardo, allora, com’è la situazione epidemia?

Il primario delle Malattie infettive del Garibaldi di Catania allarga le braccia e risponde: «Molto, ma molto preoccupante e la problematica è decisamente peggiore rispetto alla prima ondata».

Perché?

«Perché il lockdown era riuscito a contenere il diffondersi della malattia in Sicilia. Ma durante l’estate abbiamo fatto come la storia della cicala e la formica, dove la cicala si divertiva senza curarsi del futuro e abbiamo importato soprattutto virus da Malta, Croazia, Spagna, tenendo le discoteche aperte e ora i dati sono questi e ci ritroviamo con una notevole circolazione del virus che è diventato endogeno e si diffonde prevalentemente in ambito familiare. Inoltre – ecco uno de dati al momento più preoccupanti – oggi c’è un forte intasamento delle strutture emergenziali, in particolare dei pronto soccorso dove continuano ad arrivare pazienti sintomatici in grande quantità mettendo in tilt la capienza dei reparti. Questo impone l’emergenza di smaltire ricoveri di una gran parte dei pazienti diventati paucisintomatici in maniera tale da liberare posti per garantire i ricoveri dei soggetti più seri e liberare i pronto soccorso da soggetti che sono un rischio per la popolazione non infettata. Per cui la richiesta che ci arriva è quella di dimettere quanti più soggetti che possono essere inviati o a casa o nelle strutture adeguate. Inoltre la difficoltà attuale è quella di reperire posti di degenza ordinaria ed eventualmente di terapia intensiva perché una piccola ma significativa parte di pazienti che arrivano nei Ps, poi peggiorano e progrediscono verso l’insufficienza respiratoria».

Ma rispetto alla prima ondata lei ha visto un cambiamento nel virus?

«Come le avevo detto già in passato il virus oggi è uguale alla prima ondata. Non è minimamente rabbonito. La letalità è leggermente minore ma solo perché gestiamo meglio e precocemente il paziente. Devo però aggiungere tre aspetti clinici importanti: il primo è che il virus determina la stessa quantità di insufficienza respiratoria di prima; secondo che l’insufficienza respiratoria è una complicanza. E’ vero che è più grave nei soggetti più fragili, però è anche vero che si manifesta in maniera imprevedibile anche su pazienti giovani e in assenza di comorbilità. Ha, quindi, una sua imprevedibilità di manifestazione che lo rende estremamente problematico. Noi abbiamo ricoverati anche pazienti trentenni, quarantenni e cinquantenni che vanno in insufficienza respiratoria severa senza avere una storia di malattie pregresse. Infine il terzo aspetto è che abbiamo standardizzato le cure, ma ci troviamo con meno farmaci a disposizione. Ad esempio l’idrossiclorochina per motivi che non condivido è stata tolta dall’utilizzo perché in particolare due lavori scientifici ne hanno attestato l’inefficacia. Quindi noi non stiamo utilizzando il farmaco che aveva dimostrato efficacia solo perché due grandi lavori, di cui uno poi ritirato, ne attestano l’inefficacia. Le dico che ho raccolto i dati dei casi trattati con l’idrossiclorochina in tutta la Sicilia che presto pubblicherò su una grossa rivista internazionale per dire che durante la prima ondata il farmaco è sembrato funzionare. Abbiamo perso anche il Tocilizumab e perso anche molti degli antagonisti delle citochine…».

Ma allora la cura che oggi voi applicate ai malati Covid in cosa consiste?

«Nell’utilizzo di tre presidi, il cortisone, l’eparina e l’ossigeno. Se utilizzati con intelligenza e a dosi adeguate ce la fanno a fare uscire il paziente dall’emergenza. Abbiamo utilizzato anche il Remdesivir, ma un recente studio dell’Oms dice che non sarebbe efficace. Quindi ci avviamo a perdere anche questo farmaco. Esiste anche il plasma iper immune che l’ospedale Garibaldi ha sviluppato dal sangue dei soggetti guariti. Sono state raccolte un numero di dosi sufficiente che all’interno di un protocollo sperimentale sembra avere una sua efficacia in pazienti complicati».

Lei ritiene che le misure del presidente della Regione siano adeguate a contenere la diffusione?

«Mi sembrano che vanno sulla strada giusta, ma vanno anche potenziate. E vanno reperiti presto altri posti letto necessari e il personale occorrente. E se posso permettermi in parte, ormai, la diffusione da movida ha raggiunto il suo picco e si è ridotta. Bisognava contenerla in estate. Adesso, invece, il virus circola nelle famiglie ed è lì che bisogna principalmente agire».

Professore, che previsioni avete?

«A mio avviso l’ondata durerà ancora un mese, un mese e mezzo raggiungendo il picco, poi questo potrà o stabilizzarsi raggiungendo un andamento lineare oppure la curva comincerà a scendere. E speriamo che si verifichi questa seconda ipotesi, ma per concretizzarla bisogna mantenere il rigore nelle misure di prevenzione e mantenere alta la percezione di rischio di quella parte di popolazione che sembra aver perso la percezione del rischio. Ci sono, infatti, troppi negazionisti che non aiutano a ridurre la pandemia».

La strada è ancora lunga?

«Sì. Speriamo che arrivi il vaccino».

Ma voi esperti in Sicilia e in Italia prevedete numeri di contagi molto alti?

«La proiezione ci dice di sì, con un rischio di 30mila, 35mila casi al giorno e il ricovero di circa 10-15% di positivi al giorno. Per questo sarà molto importante reggere e organizzare i sistemi territoriali per la gestione del pazienti domiciliari. E’ lì che si gioca la partita per evitare di dare una spallata al servizio sanitario nazionale».

Ma i cittadini cosa devono fare?

«Stare più in casa e ridurre gli spostamento solo a quelli strettamente necessari. E poi ad adottare tutte le misure previste».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA