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Nanga Parbatt, il trapper catanese che viene da San Cristoforo

Di Maria Stefania D'Angelo |

Dalla Sicilia partire ma in Sicilia tornare per dare forma al suo sogno e restituire con la musica un’anima a luoghi e periferie abbandonate. Non a caso il video clip del suo primo brano “Damir” è stato girato tra i vicoli del quartiere di Librino, dove sin da piccolo si rifugiava per incontrare gli amici e immaginare un futuro diverso dal grigio di quei palazzi.

Dal trap al sad passando per sonorità miste al pop, Michele Vinciguerra, in arte Nanga Parbatt, è un giovane artista catanese che non ama identificarsi con uno stile unico perché la musica, con il suo linguaggio universale, è capace di aggregare tutti e narrare storie di riscatto sociale.

«Sono nato a San Cristoforo – spiega – un quartiere difficile di Catania, dove non è semplice emergere in ambito sociale e culturale. Crescere in periferia significa scontrarsi con sfide continue, devi imparare a credere che c’è sempre un’alternativa anche quando sei circondato da modelli sbagliati ed amici che entrano ed escono dal carcere».

Del resto già dal suo nome d’arte, Michele descrive gli ostacoli che un giovane deve superare non soltanto per farsi strada nel panorama musicale ma anche per costruirsi il proprio futuro. «Nanga Parbatt è una delle montagne più alte e pericolose al mondo. Ho scelto questo nome perché racconta sia la mia passione per le montagne sia le complessità che bisogna superare per toccare le vette più alte e raggiungere importanti obiettivi».

Michele come molti suoi coetanei fa i conti con le difficoltà nel trovare un lavoro in Sicilia. Germania, Francia, Belgio e persino America sono i luoghi che visita con il suo zainetto in spalla e la voglia di contaminarsi con culture diverse. «Sono stato in giro per il mondo – aggiunge il giovane artista – ma quando sono tornato a Catania ho capito che dovevo trovare la giusta spinta per dare forma al sogno di scrivere testi, raccontando paure, ansie, stati d’animo ma anche la voglia di raggiungere traguardi significativi a prescindere dal luogo in cui provieni».

Il suo percorso inizia ufficialmente dopo aver conosciuto un musicista catanese che riesce a dare vita ai suoi primi brani. Dopo un anno nasce la collaborazione con la giovane realtà musicale BlackHouseFactory, iniziando nuovi progetti e cambiando radicalmente lo stile musicale. I testi street lasciano spazio a un genere di scrittura introspettivo e più naturale.

Ma la contaminazione è l’ingrediente che conserva dai suoi lunghi viaggi e contraddistingue la sua musica. Da “Kenzo”, terzo brano realizzato in featuring con un giovane trapper italo-belga, all’ultimo singolo Lia, prodotto in collaborazione con un’artista araba: i brani di Michele fondono realtà musicali apparentemente lontane.

Oggi il giovane artista ha firmato nuove collaborazioni con tre case discografiche di Roma. Anche se i suoi brani schizzano subito ai 100 mila visualizzazioni e il giorno di San Valentino è uscito un nuovo progetto in collaborazione con il produttore LowJohn, Michele resta sempre con piedi ben piantati per terra. «Fare musica è un’altalena continua non sai mai quando dovrai scendere o spingere più forte. Alla fine dei conti però resta quello che trasmetti, quello che racconti, quello che la musica rappresenta per te. E per me è stata una salvezza».

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